Aziende e burocrazia. Un confronto tra l’Italia e gli altri Paesi

Aziende e burocrazia. Un confronto tra l’Italia e gli altri Paesi

Articolo di Matteo Borghi – giornalista 

Abbiamo visto nel nostro precedente articolo per il Datasys Magazine come le tasse possano diventare un fardello poco sopportabile per le imprese. Tutti gli innovatori che si rispettino, però, devono fare i conti con un’altra nemica, altrettanto temibile: la burocrazia. Che tu sia un grande, medio, piccolo imprenditore ma anche solo una partita Iva o un privato cittadino sono infatti decine, quando non centinaia, gli adempimenti da assolvere su richiesta dello Stato. 

La burocrazia: un confronto (impietoso) con i paesi europei

Se per quanto riguarda le imposte l’Italia si colloca nella parte alta della classifica dei paesi più tassati al mondo, ancor peggio – se possibile – avviene con la burocrazia. A dircelo è una recente indagine della Cgia di Mestre. Parlando di “qualità dei servizi offerti dagli uffici pubblici” nei 19 paesi dell’area-euro, l’Italia è al penultimo gradino, seguita solo dalla Grecia, nazione che per anni è stata sull’orlo del default. La valutazione complessiva data dalla Cgia si basa sui dati più recenti della Commissione europea riferiti al 2017 e del Quality of Government Institute dell’Università di Götheborg, in Svezia che assegna un punteggio complessivo ai servizi pubblici basandosi su tre diverse categorie: qualità, imparzialità e resistenza alla corruzione.

RANK    PAESE INDICE EQI QUALITÀ IMPARZIALITÀ CORRUZIONE
1 FINLANDIA 80,5 82,3 82,9 82,2
2 PAESI BASSI 75,6 82,9 78,8 72,9
3 LUSSEMBURGO 75,5 79,3 76,7 78,1
16 LETTONIA 38,2 50,8 45,4 37,6
17 SLOVACCHIA 31,7 48,3 36,4 31,6
18 ITALIA 24,7 41 29,6 26,9
19 GRECIA 19,1 27,5 29,4 25

Non è una sorpresa notare come, ai primi posti della classifica, vi siano paesi del Nord Europa noti per la loro efficienza. Finlandia, Paesi Bassi, Lussemburgo seguite dalla Germania. Se facessero parte dell’Unione europea e avessero adottato la moneta comune vedremmo sicuramente in lista anche paesi come la Svizzera, la Norvegia, l’Islanda, il Regno Unito e la Svezia (che fa parte dell’Ue ma non ha l’euro), che hanno fatto dell’attenzione al cittadino un punto d’orgoglio. Più inquietante pensare che, a differenza della classifica sull’imposizione fiscale, l’Italia non riesca a competere nemmeno con la Francia, che supera di poco la metà della classifica, e con la Spagna, che pur nella parte bassa ci batte di tre posizioni. La nostra burocrazia non è solo peggiore di piccole realtà mediterranee come Malta e Cipro, ma di paesi ex sovietici come Lituania, Slovenia, Lettonia e Slovacchia (l’Estonia invece tallona addirittura la Francia). Nazioni che, dopo la caduta del comunismo, hanno dovuto ricostruire un apparato burocratico praticamente da zero. Guardando al confronto sui singoli numeri della tabella riportata sopra si nota, fra l’altro, che lo scarto coi due paesi che ci precedono – Slovacchia e Lettonia – non è di pochi decimi ma di alcuni punti: impressionante il dato quasi pari alla Grecia sul tema dell’imparzialità e lo scarto di meno di due punti sul tema corruzione. Se pensiamo che – in base alle classifiche – l’Italia è l’ottavo o il nono paese al mondo per Pil nominale non possiamo che stupirci dell’inefficienza del nostro apparato statale. 

Vistose differenze fra regioni

Se nel complesso l’Italia si classifica al penultimo posto vi sono, tuttavia, importanti scarti fra i territori che la compongono. Se riprendiamo la sopra citata elaborazione su dati della Commissione europea, scopriamo che su 192 territori mappati, le regioni italiane sono tutte oltre metà classifica. Sarebbe chiedere troppo scalzare la regione delle isole Åland, al sud della Finlandia, dalla prima posizione ma, quantomeno, si vorrebbe vedere qualche regione italiana superare la metà della classifica. Così, purtroppo, non è. Scorrendo la lista si trova, al 118° posto a livello europeo, il Trentino Alto Adige (con un indice pari a 41,4) seguito, a pari merito, da altre due regioni del Nordest: l’Emilia Romagna e il Veneto (indice pari a 39,4) che si collocano rispettivamente al 127° e al 128° posto della classifica generale. Subito dopo la Lombardia (38,9) al 131° posto e il Friuli Venezia Giulia (38,7), al 133° gradino. Molto peggio le regioni del Centro e del Mezzogiorno, con valutazioni a dir poco preoccupanti. La Campania (indice pari a 8,4) è al 186° posto, l’Abruzzo (6,2) è al 189° e la Calabria, il territorio in cui la pubblica amministrazione funziona peggio tra tutte le nostre venti realtà regionali, è addirittura al 190° gradino della graduatoria generale, con un indice di soli 1,8 punti. Peggio fanno solo due regioni, fra cui quella bulgara dello Severozapaden che chiude la classifica con una valutazione pari a zero. Se diamo per buona la classifica ciò significa che, in Trentino Alto Adige, la burocrazia è oltre venti volte più efficiente che nella punta dello Stivale. 

Quale impatto per chi fa impresa?

Secondo l’indagine campionaria condotta da Eurobarometro (Commissione europea) sulla complessità delle procedure amministrative che incontrano gli imprenditori dei 28 paesi dell’Unione, l’Italia si trova al 4° posto della graduatoria, con l’84% degli intervistati che dichiara che la cattiva burocrazia rappresenta un grosso ostacolo al business. Solo la Grecia, la Romania e la Francia presentano una situazione peggiore della nostra, mentre il dato medio dell’Unione europea si attesta al 60 per cento. 

Un altro dato preoccupante arriva dall’ultimo rapporto annuale Doing Business della Banca Mondiale che analizza, con precisione, la difficoltà di fare impresa in 190 paesi del mondo secondo dieci parametri. Se nel rapporto 2019 l’Italia si classifica al 51esimo posto, comunque indietro rispetto alla maggior parte dei paesi occidentali, il merito è della facilità nelle esportazioni (trading across borders), dove risultiamo incredibilmente al primo posto al mondo, e della relativa facilità nel risolvere l’insolvenza (22° posto), nel registrare le proprietà (23°) e nell’ottenere energia elettrica (37°). Al contrario andiamo male dal punto di vista della facilità nell’avviare un’attività commerciale, dove risultiamo al 67° posto, e malissimo su permessi edilizi (104° posto), ottenimento del credito (112°) e facilità nel pagare le tasse (118°). Basti pensare che per ottenere un permesso edilizio servono 12 procedure e una media di tempo di attesa di 227.5 giorni, con un costo in termini di procedure burocratiche che ammonta in media al 3,5% del valore futuro dell’immobile. Per pagare le tasse, che ammontano al 53,1% dei profitti, vi sono 14 procedure l’anno con una media di ben 238 ore di lavoro impiegate per gli adempimenti. Giusto per fare un confronto: in Germania, al 24esimo posto della classifica generale, servono 9 procedure e 127 giorni per un permesso edilizio mentre per pagare le tasse bastano 9 pagamenti per un totale di 218 ore di lavoro. Perfino la Francia fa molto meglio: 9 procedure e 183 giorni per il permesso edilizio e 9 pagamenti e 139 ore per le tasse. Infine sono avvantaggiati anche gli imprenditori spagnoli, cui lo stato richiede 13 permessi e 147 giorni d’attesa per un permesso edilizio e 9 pagamenti e 147,5 ore per le tasse. 

Si va di male in peggio

La cosa più grave è che, di anno in anno, il nostro paese registra un aggravio di burocrazia per chi fa impresa. Il 2019 ci vede al 51° posto per facilità nel fare impresa, ma eravamo al 46° nel 2018, e il rapporto del 2020, ad oggi pubblicato in maniera ancora parziale, ci colloca in 58° posizione. Colpa, come riferisce già il report del 2019, dell’unica riforma negativa introdotta (a fronte delle varie positive adottate da molti competitor europei e Ocse): “L’Italia ha reso più costoso pagare le tasse introducendo minori esenzioni sulle contribuzioni sociali pagate dai datori di lavoro sui dipendenti assunti fra il primo gennaio e il 12 dicembre 2016”.

Gli altri competitor europei, al contrario, migliorano. La Francia, che mantiene il 32° posto nella classifica mondiale, oltre ad abbassare le tasse sul reddito d’impresa e sui contributi sociali, ha reso più facile la registrazione della proprietà con un nuovo sistema elettronico e migliorato l’accesso all’energia. Riforma applicata, in maniera diversa, anche nel Regno Unito passato dalla nona alla ottava posizione al mondo. A conti fatti il paese dove sono state introdotte le novità più grandi è, incredibilmente, la Cina, che fra il 2019 e il 2020 avanza di ben 15 posizioni (dal 46° posto al mondo al 31°) grazie a una maxi-riforma composta da: registrazione online delle aziende (anche per gli adempimenti di previdenza sociale); velocizzazione dei permessi edilizi e controlli più accurati sulla qualità delle strutture; miglioramento della rete elettrica a Pechino e Shanghai; maggiore facilità e trasparenza nella registrazione delle proprietà; migliore protezione degli azionisti di minoranza; facilitazione del commercio oltre confine, grazie alla riduzione dei costi e – soprattutto – grazie all’abolizione della business tax e a notevoli riduzioni di tempo per pagare le tasse sempre a Pechino e a Shanghai, che dovrebbero diventare città-pilota per il resto della Cina. Parliamo di un paese che ha ancora un’economia spesso controllata dallo Stato, ma che riesce – tuttavia – ad avere comunque una burocrazia migliore della nostra.

La burocrazia non uccida l’innovazione

Se c’è una cosa che dovrebbe essere chiara ai regolatori è che – come scriveva Frank Herbert ne gli “Eretici di Dune” – la “burocrazia distrugge l’iniziativa”. Tutti gli stati che, in vari modi, l’hanno ridotta, hanno ottenuto ottimi risultati, dando all’impresa quel boost di cui ha bisogno per progredire. Se in alcuni paesi, fra cui il nostro, non si fanno le riforme necessarie sorge il dubbio che il vecchio testo di Herbert ne abbia azzeccato il motivo: “C’è ben poco che i burocrati odiano di più dell’innovazione, specialmente di quell’innovazione che produce risultati migliori delle vecchie routine. I miglioramenti fanno apparire inetti coloro che stanno in cima alla piramide”.



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