Botto Giuseppe. Fibre naturali dal 1876

Botto Giuseppe. Fibre naturali dal 1876

Intervista a Ferdinando Botto Poala– CEO Botto Giuseppe e Figli S.p.a.

A cura di Luigi Torriani e Costanza Pol

BOTTO GIUSEPPE E FIGLI S.P.A.Storica azienda tessile italiana fondata nel 1876, Botto Giuseppe ha sede centrale a Valle Mosso, in provincia di Biella, e produce tessuti, jersey, filati per maglieria, aguglieria, tessitura e accessori. Ha un fatturato di oltre 60 milioni di euro e circa 300 dipendenti, e opera anche attraverso lo stabilimento di Tarcento, in Friuli Venezia Giulia.

Botto Giuseppe ha investito molto negli ultimi anni su una tematica che è oggi centrale nel mondo del tessile e della moda: la sostenibilità ambientale. Quali sono gli interventi più importanti che avete implementato su questo fronte? Perché oggi il tema dell’ecologia è diventato prioritario? Come si conciliano ecologia, etica e business nell’ambito della produzione tessile? Quale valore aggiunto può dare a un brand – anche dal punto di vista commerciale – l’investimento in sostenibilità ambientale?

Quello della sostenibilità è un tema strategico nel mondo tessile, e certamente non può essere eluso da chi come noi lavora su prodotti di alta gamma. Non si può parlare di “lusso” oggi senza una green vision, e non si può parlare di alta qualità – nell’alta moda – se non c’è al tempo stesso un impegno dal punto di vista ecologico. Chi lavora per il mercato del lusso oggi viene percepito – e giustamente – come obsoleto e inadeguato, se non investe risorse per il risparmio energetico e la riduzione dell’inquinamento. La Botto Giuseppe, negli ultimi anni, ha investito diversi milioni di euro su questo fronte, ottenendo risultati concreti e tangibili. Nella nostra sede centrale – lo stabilimento di Valle Mosso, vicino a Biella – abbiamo fatto parecchi interventi sul piano del risparmio energetico, della produzione elettrica da fonti rinnovabili, della cogenerazione e dell’ottimizzazione dei processi produttivi. Ne cito solo alcuni: l’installazione degli inverter sugli impianti di condizionamento, la creazione di un impianto di cogenerazione, l’installazione di compressori di ultima generazione, l’ammodernamento delle centrali di pompaggio e dei bruciatori, l’introduzione di lampade a led, il recupero termico dalla rievaporazione condense, l’installazione di recuperatori sui camini delle caldaie, il recupero e il riutilizzo dell’acqua di raffreddamento dei compressori, l’installazione del controllo in continuo della combustione sui generatori di vapore, l’installazione di una microturbina che sfrutta il salto idraulico tra l’opera di presa acqua industriale posta a 70 metri al di sopra dello stabilimento e le vasche di accumulo a servizio dei reparti.

Per quanto riguarda invece il nostro stabilimento di Tarcento, in Friuli, voglio segnalare, tra i tanti interventi fatti: l’ammodernamento della centrale idroelettrica a servizio dello stabilimento, l’installazione dei pannelli fotovoltaici sui tetti dello stabilimento, il miglioramento degli impianti di condizionamento, il contenimento delle perdite di aria compressa, l’installazione di lampade a Led, la sostituzione della vecchia caldaia con una nuova caldaia a condensazione, l’installazione di una turbina che recupera l’acqua scaricata per mantenere il deflusso minimo vitale sul torrente Torre. E abbiamo perfino provato a creare una centrale ad olio vegetale, anche se si è rivelata purtroppo inadatta per le nostre caratteristiche produttive e per le nostre esigenze.

Il risultato di tutti questi interventi è che la Botto Giuseppe, oltre ad avere ridotto complessivamente di oltre il 30% le emissioni, è oggi un’azienda che utilizza energia elettrica fornita praticamente al 100% da fonti rinnovabili e cogenerazione. Credo di poter dire che dal punto di vista ecologico la nostra parte la stiamo facendo, e che siamo anzi ad oggi un’azienda all’avanguardia su questo fronte. Resta il fatto – me lo lasci dire – che se si vuole cambiare davvero paradigma, non può ovviamente bastare l’impegno delle singole aziende. È il sistema del tessile/moda nel suo complesso che andrebbe rivoluzionato, perché il meccanismo attuale (consumo smodato – fast fashion – vita brevissima dei prodotti – sprechi continui e fuori controllo) non consente di avere sostenibilità ambientale. È chiaro che se un sistema si basa sulla produzione ogni anno di nuove collezioni che andranno poi sprecate per il 70%, c’è evidentemente qualcosa che non funziona, nell’insieme. E non è un problema dell’una o dell’altra azienda, è un problema generale. Se si vuole davvero intraprendere la strada della sostenibilità è necessario fare delle riflessioni molto più ampie e profonde, bisogna avere il coraggio di mettere in discussione l’attuale meccanismo globale di funzionamento del settore tessile.

 

Botto Giuseppe esporta in tutto il mondo. Quali sono oggi per voi i mercati strategici, e quali sono invece le aree geografiche ancora relativamente “inesplorate” e sulle quali potrebbe essere interessante puntare in futuro per provare ad allargare il business?

Il mercato più significativo è per noi ovviamente l’Italia, e i nostri clienti più importanti sono i grandi brand del Made in Italy e le griffe storiche della moda italiana. Siamo un’azienda orgogliosamente italiana, un nome storico del distretto tessile biellese, e non abbiamo mai avuto intenzione di delocalizzare all’estero la produzione, non l’abbiamo fatto finora e non lo faremo.

È chiaro comunque che esportiamo in tutto il mondo, e abbiamo oggi un fatturato di oltre 60 milioni di euro. Sono lontani gli anni d’oro in cui avevamo più di mille dipendenti, ma ancora oggi diamo lavoro a oltre 300 persone, siamo un’azienda solida, un marchio storico del tessile Made in Italy, e siamo conosciuti nel mondo per la qualità dei nostri prodotti. Preferisco non soffermarmi su un’analisi dell’export di Botto Giuseppe in singoli Paesi o mercati: abbiamo gli occhi aperti dappertutto e non siamo focalizzati su specifiche aree geografiche. Ogni contesto offre potenzialmente per noi opportunità e al tempo stesso criticità, e ogni contesto è in continua evoluzione. Il mercato tedesco, per esempio, un tempo era per noi significativo, ma oggi è praticamente sparito. Il mercato russo è interessante, anche se ha molte fragilità, e quello cinese – per fare un altro esempio – è ovviamente stimolante ma è molto difficile, c’è tanta concorrenza.

 

Quello di Biella è uno storico distretto tessile, e ha mostrato anche negli anni della Crisi una certa vivacità rispetto ad altri storici distretti italiani. Com’è oggi la situazione del tessile biellese, come si è evoluta negli anni e quali potrebbero essere le ulteriori potenzialità per il futuro? Quali sono i pregi del distretto e quali i difetti?

La maggiore criticità del distretto tessile biellese è di tipo “genetico”. Mi spiego: le aziende, anche se di dimensioni medio-grandi, sono quasi tutte di tipo familiare, la proprietà e il management sono legati a una famiglia, si tramandano negli anni, ed è praticamente impossibile che tutte le generazioni e tutti i soggetti siano sempre all’altezza. In una certa fase può capitare un imprenditore illuminato, ma può capitare anche un imprenditore “fulminato” che vanifica i risultati raggiunti in precedenza.

Paradossalmente il maggiore pregio, secondo me, è la presenza di una filiera fortemente integrata, con una produzione radicata sul territorio e che copre a 360 gradi tutte le fasi della produzione. Questa caratteristica all’apparenza sembra costituire soltanto uno svantaggio sul piano del business, perché conferisce rigidità al sistema rendendo difficile e costoso delocalizzare. Tuttavia, sono proprio questa integrazione e questo radicamento a conferire al tessile di Biella un valore aggiunto in termini di solidità, affidabilità e qualità. Se penso invece, per esempio, al distretto tessile comasco, vedo – accanto ovviamente ad alcune grandi eccellenze – un quadro di complessivo impoverimento e svuotamento sul piano qualitativo, proprio perché la filiera – storicamente meno integrata – è stata negli anni parzialmente smantellata e delocalizzata.

Detto questo, è chiaro che la crisi a Biella si è sentita e molte aziende tessili negli ultimi anni sono state chiuse. Chi però – come noi – è rimasto sul mercato, intravede ora dei segnali di ripresa e può guardare al futuro con un certo ottimismo. Siamo comunque – nel tessile di Biella – in una fase che definirei di “resistenza in apnea”. Sicuramente una volta era più semplice fare business nel nostro settore e nei nostri territori.

 

Quali sono i prodotti di maggior successo e i fiori all’occhiello della produzione firmata Botto Giuseppe? Quali sono i punti di forza della vostra azienda e le caratteristiche che vi consentono di essere competitivi sul mercato?

Sono tanti i nostri prodotti ma vorrei evidenziare qui un punto secondo me molto importante. Siamo un’azienda leader nel comparto delle fibre e dei tessuti elasticizzati, e abbiamo sempre cercato di innovare. Qualche decennio fa abbiamo fatto epoca portando ad alto livello l’elasticizzato per donna, e ancora oggi inseriamo continuamente dei nuovi prodotti. Vorrei citare per esempio le nostre sete elasticizzate, oppure il cashmere pettinato elasticizzato, che è una nostra grande intuizione. Qualità, tradizione e innovazione sono i nostri punti di forza.

 

Un’ultima domanda, che rivolgiamo a tutti gli imprenditori tessili intervistati, in tutto il mondo: quali sono i pregi e quali sono i difetti del mondo tessile attuale? Quali sono – rispetto al passato – i problemi inediti e quali sono invece le nuove opportunità?

Circa i problemi del mondo tessile attuale, ho già detto in parte quello che penso nella risposta alla prima domanda di questa intervista. Il sistema è ormai insostenibile sia dal punto di vista ecologico (troppi sprechi), sia dal punto di vista economico, e i maggiori difetti riguardano la questione della distribuzione dei prodotti. Il meccanismo stagioni – collezioni – saldi – rese è stato portato all’esasperazione e ha ormai un tratto parossistico. I prodotti hanno vita troppo breve, le rese sono eccessive, la merce ferma a magazzino è troppa e i negozi di abbigliamento fanno sempre più fatica a stare in piedi, anche nei centri storici delle grandi città, e subiscono spesso delle imposizioni da parte dei grandi marchi. Il sistema dei saldi, inoltre, ingenera una logica perversa e “brucia” ogni anno dei prodotti che di per sé potrebbero essere più che validi anche per altre stagioni: ci sono dei prodotti, per esempio di Armani, di trenta o quarant’anni fa, che andrebbero benissimo anche oggi.

Non esiste una cometa da seguire e io non sono un profeta in grado di indicare una nuova strada da percorrere. Non mi è chiaro come sarà l’evoluzione futura del settore tessile, ma un’evoluzione in qualche modo dovrà esserci, perché il sistema attuale non funziona. In ogni caso le aziende che vogliono rimanere competitive, come Botto Giuseppe, dovranno sempre cercare di innovare e di rinnovarsi per seguire i cambiamenti continui del settore. Cercando anche di recuperare, o di non perdere, delle qualità che oggi in Italia sono spesso deficitarie: la fame, l’energia, la voglia di fare e lo spirito di sacrificio.



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