L’imprenditoria italiana supporta le eccellenze artistiche.

A cura di Enrico Casartelli

Il caso di Enrico Mazzone, Beatrice Bassi e Molino Spadoni

Dal 14 luglio 2020, in uno spazio del Mercato Coperto di Ravenna, Enrico Mazzone sta realizzando un progetto sensazionale: illustrare la Divina Commedia su un foglio di carta lungo 97 metri e alto 4; in altre parole ricalcare il viaggio dantesco nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso, ma senza nessun Virgilio a fargli da compagnia e soprattutto da guida. 


Praticamente il nostro Enrico rimane dieci-dodici ore al giorno sdraiato su un cuscino tra Beatrice, Minosse, Pier della Vigna, Paolo e Francesca, e tanti altri personaggi danteschi. La tecnica della puntinatura si ripete in modo paziente e meticoloso. 

Enrico Mazzone, piemontese, nato nel 1982 e laureatosi in scenografia all’Accademia delle Belle Arti di Torino, in queste settimane sta realizzando l’ultima cantica, il Paradiso. Una bella occasione per Ravenna, che con quest’opera nel 2021 festeggerà i 700 anni della morte del poeta fiorentino.  

Mazzone è uno dei tanti professionisti italiani che nel 2015 è stato costretto a lasciare l’Italia e “migrare” in Finlandia per svolgere un’adeguata attività di artista e insegnante d’arte. Nella cittadina di Rauma la sua opera è stata ispirata dalla visita a una cartiera; infatti Enrico, entrato in possesso di una considerevole bobina di carta, sceglie un soggetto più che ragguardevole: la Divina Commedia. 

Intraprende allora una ricerca di stile ed è seguito e consigliato da Vittorio Sgarbi, mentore e amico. 

Disegnato l’Inferno e il Purgatorio in terra scandinava, Enrico torna a Torino dove continua l’opera. A questo punto, gli imprenditori Beatrice Bassi e Leonardo Spadoni (Molino Spadoni SpA), nonché appassionati di arte, decidono di contribuire allo sviluppo dell’illustrazione e supportano Enrico nel completamento del suo progetto trasportando l’opera da Torino al Mercato Coperto di Ravenna appena inaugurato; inoltre gli offrono piena ospitalità per il tempo necessario al completamento dell’opera.

Domenica 20 settembre 2020 a Pescara ho incontrato Enrico dietro le quinte del Premio Internazionale Giovani Eccellenze organizzato dalla Universum Academy Switzerland, e gli ho posto alcune domande: 

Da ciò che ho letto, il tuo caso rappresenta un ottimo esempio di connubio fra l’arte, l’eccellenza e l’imprenditoria italiana. Confermi? 

Due persone speciali, Beatrice Bassi e Leonardo Spadoni, mi stanno sostenendo in quest’opera. Sono fra gli imprenditori più noti in Italia e rappresentano un’istituzione non solo a Ravenna, ma anche all’estero. Mi sento molto supportato da queste due figure, dalla loro sensibilità verso l’arte, dalla loro esperienza come imprenditori e dalla loro umanità come persone. Grazie ad entrambi ho la possibilità di continuare la mia opera, e, come dici tu, il mio lavoro rappresenta un riuscitissimo connubio tra l’imprenditoria e l’arte italiana. 

Nei miei cinque anni in Finlandia, nella città di Rauma, sono stato aiutato dal Comune e in particolare dall’Assessore alla Cultura, Risto Kupari, che ha creduto in questo progetto e mi ha fornito spazio, materiale e visibilità. In piena pandemia, lo scorso 20 aprile, sono tornato a Torino; una settimana dopo mi sono arrivati i numerosi pacchi di disegni, studi ed allegati. Ero sinceramente frastornato perché non sapevo dove e come continuare l’opera; temporaneamente mi sono appoggiato alla parrocchia di Santa Fatima, vicino alla mia abitazione. 

Per fortuna pochi giorni dopo mi ha telefonato il professor Vittorio Sgarbi dicendomi che esisteva la possibilità di terminare l’opera a Ravenna, e mi ha passato direttamente Beatrice Bassi. Ho incontrato lei e Leonardo; hanno ascoltato le mie esigenze e mi hanno offerto la possibilità di lavorare nel Mercato Coperto, in pieno centro storico. Scelta fortemente voluta da Beatrice affinché l’opera fosse vissuta come parte della città e la sua progressiva realizzazione potesse suscitare entusiasmo e passione per l’arte. 

 Mi sono molto emozionato perché il posto è suggestivo, polivalente e offre una forte visibilità in quanto rappresenta storicamente un punto di incontro per i ravennati. 

Inoltre, i miei due “mecenati” mi offrono vitto e alloggio nella loro splendida e storica Casa Spadoni di Faenza. Aggiungi pure la disponibilità di un veicolo personale, per meglio organizzarmi nel lavoro anche notturno, e ti confesso che mi sento un vero privilegiato. 

Tutto questo mi motiva e rappresenta un ulteriore stimolo per ricambiare la loro gratitudine nel terminare al meglio l’illustrazione, con un taglio stilistico che riprende l’eccellenza italiana del Rinascimento. 

Quali sono le caratteristiche della tua tecnica di disegno e come l’hai maturata?

Purtroppo nel mio percorso di laurea in scenografia non erano contemplate la critica dell’arte e l’incisione; soprattutto quest’ultimo argomento, inserito invece nel corso di pittura, mi attirava anche perché già dal liceo scientifico avevo una certa propensione per i disegni. Inoltre le tecniche di litografia fatta da puntini e graffietti mi davano modo di studiare e osservare le iconografie, i dettagli per esempio dei vestiti medievali e delle divinità dell’antica cultura greca. 

A livello tecnico mi sono ispirato a un’artista: Albrecht Dürer (Norimberga, 1471-1528). Le sue opere, in particolare Melanconia, offrono un aspetto iconografico molto simbolico e quasi ermetico. Le sue icone sono in grado di descrivere senza parole virtù e vizi e mi hanno ispirato a perfezionare una personale tecnica di incisione.

A che punto è la tua opera? Quando la terminerai?

Ho da poco terminato il Cielo di Venere e ora sto illustrando il Cielo del Sole nel decimo canto del Paradiso. Sono a settantasette metri dell’opera e ne mancano circa una ventina per terminare e arrivare al fatidico novantasettesimo e ultimo metro. La mia ipotesi, anche se spero non utopistica, è di terminare entro la fine dell’anno in modo da studiare come esporre l’opera con strutture specifiche, impianti adeguati e un sonoro che possa creare un certo tipo di suggestione. Per questo ho chiesto di lavorarci anche di notte. (Nelle ultime parole noto un tono di voce particolarmente stanco, ricordiamoci che da mesi lavora 10-12 ore al giorno. È un forte impegno sia fisico che di concentrazione).  

Qual è il futuro della tua illustrazione? Resterà a Ravenna o emigrerà in altri siti? 

Con i miei due “mecenati” da poco ho incontrato l’architetto colombiano Mauricio Cardenas che vive da anni a Milano. Lui sta studiando come costruire una struttura in bamboo italiano tale da sorreggere l’intera opera. Lo studio è agli inizi in quanto prima devo terminare l’opera, ed è quello che più mi preme e mi dà una certa adrenalina. Successivamente e con calma l’organizzazione, ben supportata da Leonardo Spadoni e Beatrice Bassi, svilupperà il modo di esposizione dell’opera. Diverse ipotesi e luoghi di esposizione (Firenze, Torino…) si stanno proponendo, ma ripeto: ciò che mi preme ora è terminare l’opera. 

Finita quest’opera, hai in piano altri progetti? 

Gli ultimi dieci, quindici anni sono stati molto intensi sia a livello professionale che familiare. In questo periodo sono stato lontano dai miei genitori anche se ho sentito in modo costante la loro presenza; ora, da figlio unico, vorrei riavvicinarmi a loro fisicamente. 

Da un punto di vista professionale l’anno prossimo sarà dedicato all’esposizione dell’illustrazione e nel frattempo vorrei trovare dei nuovi progetti e sviluppi di carriera… vedremo.  

Parliamo di te. Ti faccio una domanda scontata, ma doverosa: perché hai scelto una professionalità così difficile da essere valorizzata in Italia? Una nazione dove (anche nel mondo artistico) il clientelismo, le raccomandazioni, i “figli di papà” superano, e di gran lunga, la meritocrazia. Considerazione personale e di cui mi prendo la piena responsabilità.

Noi giovani abbiamo il mito dell’estero e spesso ci becchiamo le classiche fregature come lavorare molto e guadagnare poco. Però ci sono molte scoperte, esiste una certa flessibilità e ciò che si impara all’estero è alzarsi le maniche e con umiltà iniziare piccoli lavoretti fino ad avvicinarti, ma gradualmente, al tipo di studi che hai affrontato.  

Sono d’accordo con te che in Italia ci sia poca meritocrazia, però un basso livello di professionalità ti porta a un appiattimento della carriera e, prima o poi, a relativi casi di fallimento anche personale. Io con molte porte sbattute in faccia ho continuato grazie alla mia volontà di proseguire, e devo ringraziare i miei genitori che mi hanno sempre moralmente supportato e anche sopportato.  (Sto per esclamare: “Chapeau!”, ma preferisco stare zitto e passare alla prossima domanda). 

 

In relazione alle precedenti considerazioni sei stato recentemente intervistato dalla Rai in uno speciale del Tg2 e finalmente l’Italia è venuta a conoscenza della tua opera. Ti ritieni uno dei tanti talenti italiani costretti ad andare all’estero per valorizzare la propria professionalità? A livello personale cosa ti ha dato questa esperienza? 

Vivere all’estero significa prendersi cura di sé senza l’aiuto di parenti o familiari; ciò mi ha dato molti stimoli, dinamismo e voglia di fare. Essere da soli, in posti mai conosciuti e remoti, sicuramente ti fortifica. Ma non mi piacerebbe tornare all’estero perché, nonostante quasi tutto funzioni meglio, senti immancabilmente la nostalgia di casa, degli amici, e anche il desiderio di farti una famiglia. 

Vorrei realizzare in Italia quello che ho imparato all’estero, anche perché il nostro è un Paese di eccellenza e invidiato dal resto del mondo. Tra l’altro ci sono molti beni e patrimoni culturali che devono essere ancora valorizzati e sono più che sicuro che, come nel mio caso, l’imprenditorialità italiana darà un valido supporto.    

 Tu hai lavorato per cinque anni in Finlandia, Norvegia e Danimarca. Il World Happiness Report dell’Onu li ha classificati come i Paesi più felici del mondo. Io avendoci lavorato per un periodo, però breve, ho dei forti dubbi. Tuttavia, non c’è dubbio che rappresentino culture molto diverse dalla nostra. Come sei stato accolto? Quali sono i pregi e i difetti di questa cultura, e cosa ti ha colpito maggiormente?

La Scandinavia offre un solido assetto economico, politico e sociale. La meritocrazia funziona bene e fin da giovani ci si può permettere di avere delle aspettative anche a lungo termine, d’altronde in un paese dal clima ostile non ci si può che aspettare un forte supporto da parte delle istituzioni. Per esempio la Finlandia, dove ho lavorato per cinque anni, è quasi tre volte l’Italia come dimensioni, ma ha una popolazione di neppure sei milioni di abitanti, di cui la maggior parte abita in terre gelide e non molto ospitali. Di conseguenza le istituzioni sono costrette a sostenere e valorizzare ogni abitante di qualsiasi età e classe sociale. 

A lungo andare però ti accorgi che il mito della popolazione felice e serena un po’ si sfata e questo è essenzialmente dovuto al clima freddo e ostile. I lunghi inverni ti permettono di raccogliere le idee e di concentrarti su te stesso, ma nel tempo la mancanza di sole tocca profondamente il fisico e di conseguenza anche il morale. Al contrario i mesi estivi ti sfiancano con la continuità della luce anche di notte. Non è facile per il corpo e soprattutto per la mente: è una sfida con te stesso. 

Il loro approccio culturale è diverso dal nostro perché non esalta alcuni valori tipicamente italiani: la famiglia, l’affetto, la disponibilità verso il prossimo.

Sono molto felice di essere tornato in Italia e di vivere in un ambiente che, a detta di molti, non è il più adeguato ad operare in campo artistico, però il meglio deve ancora arrivare: siamo noi che dobbiamo essere attivi in base alla flessibilità che disponiamo e che dobbiamo cercare. 

Sono riuscito a contattare telefonicamente l’imprenditrice Beatrice Bassi e le ho chiesto: come ha fatto a sapere dell’opera di Enrico?

Da anni io e Leonardo Spadoni siamo appassionati di arte e in particolare quella moderna. Lo scorso giugno, appena usciti dalla mostra di Raffaello nelle Scuderie del Quirinale, abbiamo incrociato l’amico Vittorio Sgarbi. Causalmente dovevamo compiere lo stesso tragitto di strada ed è quindi salito sulla nostra auto; durante il viaggio ci ha spiegato in dettaglio l’opera di Enrico e infine ci ha chiesto se avessimo un magazzino disimpegnato per terminarla. “Un magazzino? Ma noi possiamo mettergli a disposizione un’area ad hoc in un piano del Mercato Coperto di Ravenna!”, gli abbiamo risposto. 

Non abbiamo esitato un attimo a supportare Enrico in quanto crediamo fermamente nell’utilità dell’arte come messaggio universale di bellezza, pace e anche un modo di condividere con altri la nostra passione.  

Il nostro bellissimo patrimonio culturale è anche fonte di lavoro e reddito. Lei crede che l’imprenditorialità italiana, dopo questo periodo di crisi dovuto al Covid, riuscirà ancora a supportare eccellenze come Enrico Mazzone? In altre parole, ci saranno ancora benefattori come lei e Spadoni, di cui l’Italia ha bisogno e deve essere fiera? Purtroppo l’alternativa che vedo è l’ingerenza di società straniere più che desiderose di acchiappare il nostro patrimonio e farne una fonte di business.  

Sono d’accordo con lei nel ritenere che la presenza di investimenti stranieri sul nostro patrimonio culturale sia un rischio perché è indubbio che possa essere sollecitata da scopi prettamente di business. 

Supportare l’arte per noi, che lavoriamo nel settore alimentare, non è una questione legata al mondo degli affari, ma alla passione. Non c’è soddisfazione più grande che restaurare opere e metterle a disposizione del pubblico. Inoltre mi piace constatare che esistono risvolti in termini di azienda e di team: si fa squadra tra i collaboratori e sinergia con altri appassionati e con il territorio. 

Sono sicura che l’aiuto imprenditoriale al nostro patrimonio artistico sarebbe maggiore se esistessero dei concreti benefici da parte del governo, per esempio sgravi fiscali.

In questi ultimi anni Leonardo ed io ci siamo adoperati in modo particolare nel valorizzare il nostro territorio. Un esempio è stata la riapertura del Mercato Coperto di Ravenna lo scorso dicembre. Abbiamo restaurato pezzi unici di antiquariato e ne abbiamo raccolti altri più moderni per far rivivere il fascino delle epoche attraversate dal Mercato: un tavolo ricavato da un’antica barca lagunare, i disegni originali di Benito Jacovitti, i banchi Deco degli anni ’30, i manichini e i pupazzi in cartapesta degli anni ’50.  

Ogni pezzo è unico, autentico e vero e questi sono per noi valori di vita.



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