Intervista a Enrico Casartelli
ENRICO CASARTELLI, dirigente in IBM per 23 anni, consulente, autore dei romanzi “La vita in una conchiglia”, “Un nove corre in Internet” e “Il vecchio ciliegio di Manhattan”. Docente di nuove forme di comunicazione digitale, sta lavorando a un nuovo romanzo ambientato a Milano in un futuro ipertecnologico
Il progresso tecnologico è oggi così rapido da rendere ardue previsioni sul futuro. Lo stesso film cult “Ritorno al futuro II”, che nel 1989 immaginava come sarebbe stata la vita in California nel 2015, azzecca alcune previsioni (videochiamate, droni, tecnologia indossabile) ma ne sbaglia altre (auto volanti, fax presenti in ogni stanza della casa, skateboard che fluttuano nell’aria, vestiti auto-asciuganti, “idratatori” per allargare le pizze). Quali sono gli errori più frequenti che facciamo quando cerchiamo di immaginarci il futuro? E come si deve procedere per fare della “futurologia” che abbia un senso?
La mia opinione è che possiamo prevedere il mondo futuro a non più di dieci o al massimo quindici anni, oltre cadremmo in scenari ridicoli. Questo per un semplice motivo: la tecnologia si evolve in molteplici ambienti e soprattutto con un velocità esponenziale; io spesso per spiegarlo proietto la sequenza di immagini di un bicchiere il cui contenuto si riempie in trenta secondi e in modo esponenziale, solo negli ultimi attimi ci accorgiamo che il liquido arriva all’orlo del bicchiere e trasborda.
Nel ’95 internet iniziò a diffondersi presso gli utenti privati e si creò un nuovo mercato; pochi allora credevano nelle sue potenzialità e io penso che nessuno poteva prevedere totalmente e fino in fondo gli incredibili sviluppi che ha realizzato.
Quello che possiamo immaginare senza scivolare in scenari bizzarri è qualcosa che immaginiamo basandoci sulle attuali tendenze della tecnologia e ipotizzandone lo sviluppo. Rimaniamo dunque nel mondo delle comunicazioni e costruiamo un esempio di possibile scenario futuro. Negli ultimi mesi stiamo assistendo ad una forte flessione dei notebook bilanciata da un incremento di richieste di tablet, di conseguenza i produttori si stanno orientando sul mix dei due: lo schermo del pc portatile si stacca e diventa un tablet. Questo in pratica cosa significa? L’utenza è più mobile ed esige dei prodotti sempre più comodi e facilmente trasportabili. Facciamo un piccolo sforzo e proiettiamoci fra dieci anni: io vedo un utente che viaggia con dispositivi sempre più leggeri. E prima di uscire di casa cosa indossiamo di routine? Un orologio al polso o nel taschino, allora perché non immaginarlo come dispositivo che si apre a tastiera e schermo nelle dimensioni che vogliamo noi e compiere tutte quelle operazioni che attualmente facciamo con un personal computer o con un app dello smartphone.
Uno degli ambiti più interessanti quando si cerca di prevedere il futuro è la domotica, cioè l’innovazione e le tecnologie per migliorare la qualità di vita nelle nostre case. Dal punto di vista della home automation come potrebbe essere la situazione tra vent’anni?
La domotica è uno degli aspetti più positivi della tecnologia, soprattutto se vista dal punto di vista ecologico. Immaginiamo di entrare in un appartamento del futuro. Prima di tutto scordiamoci le vecchie e pesanti chiavi, un app applicata a un nostro dispositivo (vedi l’orologio di prima) gestirà le aperture e le chiusure dell’appartamento avvertendoci di eventuali e indesiderate intrusioni. Se attivato, il riconoscimento vocale, facciale o dell’iride garantirà la nostra autenticità.
All’ingresso troveremo un display collegata alla nostra app, ci indicherà luminosità e microclima nei vari locali; potremo facilmente regolare i vari parametri, per esempio se vogliamo più buio in cucina con un comando faremo scendere le serrande o l’intensità dei led, oppure se desideriamo aria fresca e profumata in un locale attiveremo dei diffusori di una delle varie fragranze disponibili.
Premiamo un’icona sul display e ci appariranno le condizioni delle piante collocate in vari punti dell’appartamento: umidità del terreno nel vaso, livelli di fertilizzante, temperatura, esposizione al sole o alla luce.
Tutti i tipo di comandi potranno essere dati anche verbalmente perché ci sarà un assistente vocale, (semplice evoluzione dell’attuale Siri di iPhone).
Entriamo nel salotto; dimentichiamoci per fortuna la vecchia televisione perché sarà possibile attivare schermi, display sulle pareti o sui tavolini per vedere le notizie, scegliere i film o documentari, giocare, connettersi…
Poi accediamo nella cucina, la vera unità di business della casa “intelligente”; un sistema centrale indicherà la quantità dei prodotti nel frigo e nelle dispense, ci avvertirà delle loro scadenze, ci fornirà una lista di spese che con un semplice ok decideremo di inviare a un vicino supermercato, all’ora che vogliamo riceveremo i prodotti ordinati. Ho detto “intelligente” perché il nostro sistema sarà in grado di gestire i consumi dei vari elettrodomestici ed evitare sprechi.
Entriamo nella parte più privata della casa – il bagno, e per un secondo guardiamoci allo specchio: l’immagine verrà fotografata in tridimensionale e l’applicazione, in comparazione anche con i dati storici del nostro viso, saprà individuare segnali di stanchezza o altre anomalie. La doccia o la vasca non saranno solo idromassaggio, ma disporranno di varie funzioni tipo radiofrequenze che riscaldano gli strati della pelle e ne stimolano la formazione di proteine.
Finalmente, stanchi per la stressante giornata di lavoro, varchiamo la soglia della camera; temperatura, luci, sveglie, materasso, musica; tutti i dispositivi saranno regolati in funzione dei nostri personali gusti, per favorire un ottimo sonno.
Unico e grosso problema: tutte le apparecchiature saranno collegate tra loro e monitorate dal sistema centrale locale, di conseguenza potranno essere facile oggetto di crackers e quindi a rischio di furto di carte di credito, conti correnti, parametri di identificazione, cartelle cliniche… in sintesi tutti i dati personali.
Ma vorrei ampliare lo scenario della singola abitazione, e a questo proposito sto lavorando a un romanzo ambientato in una Milano e in una Toscana nell’anno 2030.
Io penso che una volta abbattute le barriere e le tensioni razziali ci sarà un’anima più ecologica e più attenta alla convivenza e al territorio.
Proiettiamoci in una Milano fra una quindicina di anni: i terrazzi saranno pieni di verde e diventeranno luoghi di incontro, gli appartamenti con le opportune modifiche edili saranno ridotti ai sufficienti metri quadrati per dormire e mangiare al fine di ampliare i balconi e l’area verde, i garage inutilizzati saranno trasformati in orti botanici dove una luce artificiale simulerà perfettamente quella naturale.
Sugli edifici cresceranno i giardini verticali. Ogni spazio verde sarà curato dagli abitanti del quartiere e trasformato in orto, spazio per bimbi, giardini …, già i social street milanesi si stanno adoperando in tal senso. Una vernice biologica per pareti interne ed esterne, già ora in commercio, sarà obbligatoria (è un composto in polvere che miscelato con l’acqua simula il principio di fotosintesi delle piante). La pavimentazione mista di pannelli elastici ed erba fornirà energia cinetica per riciclare l’acqua grigia.
Non è fantascienza: Copenaghen, Rotterdam, e in piccolo Milano, si stanno già muovendo in questa direzione. Un architetto italiano, su richiesta del governo cinese, sta progettando una città “foresta” di centomila abitanti dove si moltiplicherà il Bosco Verticale; l’intenzione è coprire l’ex area industriale di Shijiazhuang che rappresenta la zona più inquinata della Repubblica Popolare.
In ambito viaggi e trasporti si parla soprattutto di auto e camion a guida automatica. La Ford ha annunciato l’arrivo sul mercato entro il 2021 di “un’auto che si guida da sola”, Uber e Volvo stanno investendo nella ricerca e Tesla ha già creato un sistema di guida semiautomatica Autopilot (con un recente incidente mortale negli Stati Uniti). Ma anche nel campo dei trasporti non sempre gli esiti sono scontati. Per il esempio il Concorde – il celebre aereo commerciale supersonico in grado di portare i passeggeri dall’Europa agli Stati Uniti in meno della metà del tempo che ci si impiega oggi – non vola più dal 2003, ed è stato bloccato perché troppo pericoloso e troppo costoso. Di recente Richard Branson ha annunciato di voler avviare un servizio di mini-concorde, che dovrebbero chiamarsi Boom, ma al momento la situazione è ancora incerta. Come saranno le automobili e come saranno gli aerei nel futuro? Come viaggeremo e come ci sposteremo?
Non ti so rispondere sulla mobilità aerea perché non ne ho le competenze e rimaniamo quindi con i piedi, anzi con le gomme, sulla terra.
Ragioniamo, come fatto precedentemente e come si dovrebbe fare sempre, a partire dagli attuali trend. È chiaro che la sharing economy dei trasporti si sta ampliando nell’utilizzo di car pooling, car sharing, bike sharing, blablacar …, come per le abitazioni nei servizi della piattaforma airbnb e degli spazi di coworking.
Avere un auto personale sarà sempre più svantaggioso sia da un punto di vista di comodità che soprattutto di costi, e trionferanno i servizi di car sharing.
Per il tipo di alimentazione la mia opinione è che già fra dieci viaggeremo su macchine elettriche superando quelle ibride, e per il 2030 parlo nel mio libro adi uto ad emissione zero alimentate a idrogeno, cioè da celle a combustibile di questo elemento chimico in grado di generare elettricità alle batterie del motore elettrico.
Non penso che l’idrogeno verrà utilizzato direttamente in sostituzione dell’attuale benzina o gasolio perché troppo pericoloso, ma la BMW da anni sta sperimentando questa soluzione.
Il grosso problema rimane la distribuzione e il rifornimento di questo componente chimico su larga scala, ma sono in atto studi di tecniche innovative per il trasporto e l’immagazzinamento dell’idrogeno; ad esempio i carriers per liquidi organici, che non richiedono serbatoi ad alta pressione, potranno presto ridurre il costo del trasporto su lunga distanza e diminuire i rischi associati all’immagazzinamento di gas e la loro fuoriuscita involontaria, e questo vale anche per le stazioni di rifornimento e i serbatori delle auto.
Cambiamo argomento: Google è stata la prima a sperimentare l’auto che si “guida da sola” e da pochi mesi ha stretto una collaborazione con la FCA Group, che è il seguito di tanti altri accordi del genere.
Secondo me c’è troppa attenzione mediatica sul tema dell’auto che si “guida da sola”, è un argomento di “moda”, ma io sono alquanto perplesso. Anche se siamo un popolo di indisciplinati al volante e i programmi di intelligenza artificiale saranno in grado di anticipare e gestire tutte le casistiche possibili, ipotizziamo due casi semplici, ma possibili e soprattutto drammatici. .
Il primo: avviene un evento improvviso e di un microsecondo quale la perdita della comunicazione gps, oppure un fenomeno naturale tipo un fulmine, oppure una naturale e forte radiazione elettromagnetica; di conseguenza il sistema va in tilt, l’auto va fuori strada o si blocca e accade un incidente. Chi si assume la responsabilità del fatto? La compagnia di comunicazione mobile, il software che non ha gestito l’imprevisto, la casa costruttrice, il conducente che non ha fatto in tempo a prendere il volante?
Secondo caso e più tragico: un bimbo sfugge alla mano della madre e inaspettatamente attraversa la strada, l’auto non ha il tempo di frenare e deve prendere una decisione: investire il bambino oppure sterzare sul ciglio della strada coinvolgendo alcuni ignari pedoni. Chi decide e chi risponderà giuridicamente di questa azione?
I legali assicurativi avranno anni di serrato dibattito, e secondo me avverrà un probabile e repentino dietro front e l’applicazione sarà, forse, attivabile al massimo su autostrade in cui saremo diligentemente incolonnati in funzione della velocità controllata del nostro veicolo. Nelle strade di ordinaria viabilità ci limiteremo a programmi di sicurezza già attuali, ma sempre più sofisticati: la frenata automatica in caso di disattenzione o lentezza di riflessi del guidatore, il mantenimento della corsia, la rilevazione di stanchezza, il parcheggio assistito, sensori e radar che rilevano le condizioni del terreno nei metri di fronte al veicolo e avvertono possibili minacce, e altri sistemi di sicurezza attiva.
Ripeto che questo è il mio personale pensiero sul “driverless car”. Lascio volentieri ad altri il sogno di sedersi comodi in auto come in un salottino privo di pedali e volante.
Viaggiare su Marte. La Nasa prevede di mandare i primi uomini su Marte nel 2030, Elon Musk – il patron di SpaceX e Tesla Motors, che sta investendo in proprio nella ricerca – conta di riuscire a mandare già nel 2024 degli esseri umani sul Pianeta Rosso e pensa già a una futura colonizzazione di Marte, e la società olandese Mars One parla addirittura di una missione senza ritorno per quattro persone tra il 2024 e il 2026 per dare vita al primo avamposto umano su Marte. D’altronde molti dei progetti spaziali di cui si parlava negli anni successivi al primo allunaggio (1969) non si sono poi realizzati. A che punto saremo tra vent’anni? Ci sarà davvero una colonia umana su Marte?
Il 1969 è lontano non solo per gli anni, ma anche per le accentuate diversità di scenari. Allora era in atto una guerra fredda tra la Russia e l’America, che doveva affermare la propria supremazia nella tecnologia e nello spazio, e questa è stata la vera spinta per il primo allunaggio; si sapeva già che non c’erano minerali pregiati, fonti di energia e il clima era molto ostile per un eventuale soggiorno umano. Ora l’America non ha più bisogno di affermare questa supremazia, e infatti gli investimenti alla Nasa sono stati molto ridimensionati.
Io penso che arriveremo su Marte, ma in tempi molto lontani perché non esistono vere motivazioni e opportunità di business o di supremazia tecnologica, e saremo spinti semplicemente da uno spirito che accompagna l’essere umano da milioni di anni: la curiosità.
Le neuroscienze ci dicono che tutti gli animali superiori sono curiosi, ma limitatamente alla loro età giovanile, poi quest’istinto diminuisce gradualmente. Noi esseri umani rimaniamo “cuccioli” per tutta la vita e ci comportiamo come la specie più curiosa del globo. Gli studi delle neuroscienze affermano inoltre che la curiosità umana ha la stessa natura di un bisogno o di uno stato di astinenza, il suo soddisfacimento ci procura la gioia di un autentico attingimento portando dopamina alla corteccia cerebrale come se avessimo mangiato, bevuto, visto un bel film o letto un ottimo libro. L’espressione più tangibile della nostra curiosità nella storia è rappresentata dalle tante esplorazioni geografiche e dalla scienza.
Il poeta greco Costantino Kavafis ha scritto: “Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, e fertile in avventure e in esperienze.”
Per ora lascio alla nostra grande fantasia umana una colonia umana su Marte nella speranza che nel futuro ci preoccuperemo maggiormente della salute della nostra Terra.
Una preoccupazione molto diffusa quando si parla di progresso tecnologico è quella del lavoro. Già oggi l’evoluzione digitale sta togliendo posti di lavoro, e di fronte ai progressi del web, dell’informatica e della robotica nessuno – dal bigliettaio all’impiegato di banca, dal negoziante al camionista, dall’operaio al fotografo, dal giornalista al medico, dal traduttore al cameriere – può sentirsi al sicuro nel proprio posto di lavoro, quando non l’ha già perso. Settant’anni fa Norbert Wiener – citato da Riccardo Staglianò nel libro “Al posto tuo. Così web e robot ci stanno rubando il lavoro” – scrisse che “l’automazione produrrà una situazione di disoccupazione in confronto alla quale la Depressione degli anni Trenta sembrerà una barzelletta”, e già oggi vediamo che lavori che fino a pochi anni fa erano considerati non automatizzabili oggi lo sono diventati o lo stanno diventando. Quali saranno i mestieri del futuro e come faremo noi o come faranno i nostri figli a rimanere nel mercato del lavoro nei prossimi decenni? Come cambierà il nostro modo di lavorare e come devono e dovranno cambiare le aziende per rimanere competitive?
RISPOSTA: Condivido in parte questa preoccupazione. Per ora la maggior parte della robotica è confinata nell’industria, racchiusa in enormi e pericolose braccia e arti che devono essere maneggiati con cura da tecnici qualificati. Ma i progressi di questa scienza sono verso una più facile collaborazione uomo-macchina.
La tecnologia è in grado di replicare la flessibilità e la destrezza della mano umana aumentandone la precisione dei movimenti. Il robot non sarà più un’unità autonoma, ma grazie al cloud computing accederà a un’enorme quantità di dati e informazioni, e grazie ai sensori applicati sarà più abile nel comprendere l’ambiente e interagire con esso. Di conseguenza la robotica uscirà dal suo spazio prettamente industriale e dalla sua “gabbia” per aprirsi a una maggiore collaborazione con l’uomo. In Giappone si stanno già utilizzando robot a cura della persona: assistenza anziani e fisioterapia o nel campo dell’agricoltura per lavori di precisione. Altri come Dexter Bot, Baxter, IIWA, Nextage sono in grado di affiancarsi all’uomo per gestire lavori scomodi e pesanti. Ma questi robot sociali, anche considerando i progressi dell’intelligenza artificiale, avranno sempre bisogno della supervisione umana.
In ogni caso è vero che se nel passato i processi di automazione hanno creato maggior produttività, crescita di economia e benefici per tutti, rimane il rischio che l’utilizzo dei robot possa “rubare” molti posti di lavoro soprattutto in caso di compiti ripetitivi e particolarmente impegnativi sul piano fisico (queste macchine possono lavorare senza soste e costano meno dei dipendenti umani).
Ritornando alla tua domanda sui mestieri del futuro le risposte sono tante. Prima di tutto dimentichiamoci il posto e soprattutto il tipo di lavoro fisso, saremo quasi tutti dei “freelance” e il continuo cambiamento sarà sempre più essenziale.
Nasceranno però nuove figure professionali: designer della stampa 3d; consulenti per la casa intelligente; consulenti e semplificatori on line perché il mondo sarà sempre più complesso e avremo bisogno di una persona che ci guidi in una specifica esigenza; tecnico per gli impianti e le protesi neurali; professional triber, cioè aggregatore di persone di diverse competenze per lo sviluppo di progetti specifici; specialista sanitario in remoto; senior carer (l’invecchiamento della popolazione è un fenomeno che sta cambiando la nostra società, quindi assistenti per l’anziano sia dal punto di vista sanitario che soprattutto psicologico); coltivatore urbano; designer per la realtà virtuale.
Inoltre: in Italia abbiamo un grande patrimonio culturale e turistico; penso che questo diventerà la nostra risorsa maggiore e allora perché non pensare a guide turistiche, esperti di beni culturali, restauratori, conservatori e altre figure legate a questo patrimonio. Di sicuro esisteranno applicazioni o robot in grado di tradurre e parlare tutte le lingue. Ho visto di recente un’applicazione su iPhone che traduce l’inglese in un dialetto cinese con una percentuale di errore del 3%, ma i turisti stranieri senza dubbio preferiranno una sorridente e competente persona che parlerà nella loro lingua.
Andiamo oltre: un paziente sicuramente non potrà fare a meno di un sorriso di un infermiere o di un dottore che poco prima l’ha operato, forse anche utilizzando delle mani robotiche per essere più preciso nei delicati movimenti. Un bambino non potrà fare a meno di una maestra che lo guidi nei primi passi dell’apprendimento.
La mia conclusione è che quindi rimarranno tante figure, soprattutto nel mondo dei servizi, che non potranno essere sostituite da una macchina anche se “intelligente”. I nostri figli per rimanere attivi nel mondo del lavoro dovranno essere in grado di cambiare, viaggiare, scoprire nuove opportunità e – perché no? – anche avere la possibilità di “realizzare i propri sogni”.
Riguardo alla tua domanda specifica sul modo di lavorare, saremo quasi tutti “smart worker”, cioè avremo massima flessibilità in termini di orario e di luogo fisico, e agiremo per obiettivi, con l’esigenza dunque di avere più dispositivi mobili e luoghi di coworking.
Occorrerebbero pagine per rispondere alla tua domanda sul necessario mutamento delle aziende, ma provo a sintetizzare in poche righe.
I modelli di business dovranno essere riesaminati per affrontare almeno tre punti fondamentali: continua innovazione, agilità e velocità nel rispondere al mercato, un più stretto rapporto e coinvolgimento del cliente.
Gli stili di leadership dovranno essere rivisti con l’ascesa del “soft power”, cioè l’abilità nel convincere, attirare collaboratori e clienti in linea con il marketing attrattivo. Diversità di valori, opinioni, aspirazioni dovranno essere incoraggiati per creare talenti e innovazione.
Le imprese dovranno spostarsi, assumendo anche dei rischi, verso mercati di aree nuove ed emergenti.
I luoghi di lavoro, come accennato prima, dovranno essere più flessibili e attrattivi per agevolare una cultura del lavoro collaborativo che motivi l’intelligenza collettiva e incoraggi l’innovazione.
Per il mondo PMI permettimi un sogno personale: lo sviluppo di tante botteghe artigianali che facciano riscoprire il talento italiano e facciano emergere il nostro “Made in Italy”, rappresentando competenze e abilità che non potranno essere comprati da cinesi, arabi o altre culture.