Leonardo da Vinci. Un omaggio a 500 anni dalla morte

Leonardo da Vinci. Un omaggio a 500 anni dalla morte

A cura di Domenico Casiraghi

Alcuni artisti hanno tentato di dare un volto a Leonardo, come l’anonimo tedesco del 1600, che ha delineato questo ritratto. Il grande artista ci ha lasciato un autoritratto che non ha nulla di realistico, ma è espressione simbolica del suo genio e del suo mondo interiore.

Leonardo, vissuto tra il 1452 e il 1519, è una delle espressioni più alte della nuova età che si chiama Rinascimento. L’età precedente, il Medioevo, aveva una concezione dell’uomo e del mondo teocentrica: Dio era considerato autore e fine del creato e quindi anche dell’uomo, ritenuto fragile creatura, contaminata dal peccato e soggetto alle tentazioni del mondo. Alla luce di tale concezione l’uomo medioevale considerava questa vita come pellegrinaggio e preparazione a quella futura e il mondo naturale come qualcosa da cui fuggire, come pericolosa distrazione dalla meditazione sul proprio destino ultraterreno. Con il Rinascimento si affaccia una nuova visione del mondo e dell’uomo, quella antropocentrica, secondo cui l’uomo si pone al centro del mondo, come protagonista e attore della storia. 

L’uomo di quest’epoca si sente sicuro e dotato di sufficienti capacità e mezzi per contrastare con l’ intelligenza il gioco capriccioso degli avvenimenti e per costruire il proprio destino. Egli considera il mondo, questo mondo, non più come qualcosa da fuggire ma come un bene che va esplorato e conosciuto, rifiutando ogni ricerca e ogni speculazione che non abbia il suo fondamento nell’esperienza e nella ragione.

Lo stesso Leonardo afferma infatti:

“L’esperienza non inganna mai, può ingannarsi bensì il nostro giudizio sull’esperienza e per evitare l’errore non c’è altra via che ridurre ogni giudizio a calcolo matematico e servirsi esclusivamente della matematica per capire e spiegare le cose, che l’esperienza manifesta”.

È in forza di questa convinzione che Leonardo coltiva una vasta gamma di interessi, a suo dire però più di tipo scientifico che di tipo artistico.

Egli infatti, nella sua lettera di presentazione al duca di Milano, Ludovico il Moro, elenca le sue capacità e interessi nei più diversi campi, dall’ingegneria all’idraulica, dall’architettura alla cultura, dall’organizzazione degli spettacoli all’arte militare, aggiungendo per ultimo la pittura. 

Ma è noto che insieme agli interessi scientifici, per i quali ha avuto intuizioni geniali, Leonardo non trascura la  vocazione artistica, che si manifesterà in straordinarie opere d’arte, che stupiranno il mondo. Egli infatti a 17 anni frequenta la bottega di Andrea del Verrocchio, non solo pittore ma anche scultore e maestro (oltre che di Leonardo, anche di Sandro Botticelli, Pietro Perugino, Domenico Ghirlandaio, Luca Signorelli). E certamente la fama di Leonardo si affermerà non per le sue scoperte scientifiche, che non avranno risultati immediati,  ma per le sue opere artistiche, veramente straordinarie. Le più note al grande pubblico sono:  La Vergine delle rocce, La Gioconda, e naturalmente L’ultima cena.

Nel creare i suoi capolavori Leonardo fa sue tre novità della propria epoca, che, come si è detto, è il Rinascimento: proporzione, prospettiva, paesaggio.

Gli artisti del Rinascimento infatti incominciano, a differenza degli artisti medioevali, a dare nelle loro opere più spazio al paesaggio, ritraendone accuratamente i diversi aspetti, anche grazie alla scoperta, appunto, della tecnica della prospettiva. 

Giotto (1267 – 1337) raffigura, per esempio, nella Madonna di Ognissanti i due personaggi principali: la Madonna e il Bambino, con dimensioni innaturalmente maggiori degli altri.

Si tratta di visione gerarchica, secondo cui le proporzioni delle figure non devono rispettare quelle della realtà, ma piuttosto quelle astratte del pensiero. In questa visione è logico che i due personaggi in trono appaiano più grandi di tutti gli altri, in quanto le loro dimensioni rimandano idealmente alla loro importanza. Inoltre in quest’opera il paesaggio è completamente assente; in altre esso è presente ma con significato simbolico, come nella Fuga in Egitto. 

Gli artisti del Rinascimento invece impiegano la prospettiva al fine di misurare e di rendere comprensibile e raffigurabile lo spazio nelle sue possibili dimensioni, non solo cioè di altezza, lunghezza e larghezza ma anche di profondità. Ciò dimostra il raggiungimento di una totale padronanza delle tecniche scientifiche di rappresentazione della realtà. 

Essi non si accontentano più di riproporre forme e temi tramandati da secoli ma cercano nell’osservazione del quotidiano e nello studio del vero le ragioni più profonde della propria ispirazione. 

Nell’opera Trinità (1401-1428), Masaccio utilizza la prospettiva per misurare e per rendere comprensibile lo spazio, creando un effetto di grande profondità, come se la cappella rappresentata non fosse solo dipinta ma quasi scavata nello spessore del muro. Ciò dimostra il raggiungimento da parte dell’artista di una totale padronanza delle tecniche scientifiche di rappresentazione della realtà. Ed è ciò che fa anche Leonardo. Nei suoi capolavori, infatti, si concretizzano due concezioni:                                                                  

  quella secondo cui un dipinto deve dare soprattutto la sensazione della profondità;                         

– quella che vuole che la perfetta esecuzione e rappresentazione del paesaggio siano pari all’importanza della figura umana.

È da precisare che Leonardo non ci ha lasciato molte  opere pittoriche ma soltanto una trentina, e tra esse un posto di primo piano è occupato da quelle dedicate alla Vergine, che l’artista ritrae in forme nuove, rompendo con la tradizione.

Infatti, man mano che le sue conoscenze scientifiche si approfondiscono e la sua arte matura, il grande artista abbandona le forme del passato a favore di una iconografia del tutto originale, che ha il pregio di svelare in modo sorprendente l’interiorità dei personaggi. 

In particolare, nei dipinti a lei dedicati, Leonardo riesce non solo a ritrarre la Vergine con inusitata espressività ma anche a svelare, con una rara capacità di introspezione psicologica, il suo rapporto di Madre con il proprio Figlio.

Tale risultato è frutto: 

– dell’attenzione dell’artista per le espressioni del volto, dello sguardo e dei gesti, che gli derivano dal suo interesse per l’anatomia e la fisiognomica; 

– dello studio della prospettiva e delle proporzioni dei personaggi tra di loro e tra i personaggi e il paesaggio; 

– dell’applicazione della tecnica del chiaroscuro, ossia dello sfumato.

Infatti nell’Annunciazione vediamo che alla Vergine racchiusa da una nicchia scandita dalla rigorosa prospettiva delle pareti di pietra si contrappone l’apparizione dell’Angelo nell’ampio paesaggio raffigurato con precisione da alberi bruni e fiori.

A colpire è la bellezza bionda e languida dei volti dei due personaggi, conseguita con la tecnica dello sfumato e il colore, che l’artista sceglie con accuratezza accostando rosso e blu per la Vergine, rosso e verde per l’angelo. 

La Vergine con la destra appoggiata sul libro, ascolta e mostra, alzando la sinistra, il suo turbamento ma nello stesso tempo il suo consapevole “sì”:

“Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga in me quello che hai detto” (Lc 1,38).

Dell’angelo  sono da notare non solo la delicatezza del volto ma anche le ali, che per la prima volta, invece che simboliche, sono battenti, colte un attimo prima che si ripieghino in riposo.

L’angelo è appena giunto, si è appena inginocchiato, e pronuncia il saluto: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1,28). 

L’asse della composizione è l’apertura luminosa di un paesaggio lontano, che si vede a metà del muro, permettendo all’osservatore di intravvedere massicci rocciosi, di cui il più distante si perde all’orizzonte, confondendosi con la luce bianca dell’acqua e del cielo. È’ una luce attenuata, così da ammorbidire i tratti: è luce di un’ora vicina al crepuscolo.

Sullo sfondo, a lato del monte più vicino, si intravede il porto per sottolineare che Maria viene considerata dalla tradizione popolare un rifugio sicuro.

Si tratta di una concezione nuova, a cominciare dall’ambientazione in un giardino fiorito, aperto verso un vasto paesaggio invece che nell’intimità della casa, come l’ambienta, per esempio, Sandro Botticelli o in un chiostro lontano dalla vita del mondo come colloca, per esempio, la sua Annunciazione il Beato Angelico.

Nel dipinto di Leonardo la prospettiva della parte anteriore è quella tradizionale: l’edificio sulla destra, il marciapiede ammattonato, il basamento del leggio.

Ma al di là del muretto si apre la profondità spaziale, che è resa mediante il digradare progressivo dei colori, dagli alberi scuri ai colli, l’uno più lontano dall’altro, più chiari, fino alle remote pareti rocciose alpestri, che quasi si confondono con il baluginio del cielo.

Il significato è chiaro: il miracolo che si sta svolgendo (l’Incarnazione), nel momento stesso in cui coinvolge la vita futura di Maria, diviene un fatto che trascende la sua persona, per investire tutto il mondo, redento dalla nascita del Figlio.

L’Adorazione dei Magi è la prima opera di grande impegno, che Leonardo affronta ormai trentenne. Benché incompiuta, è forse l’opera più innovativa anche in confronto con quelle successive.

Con questo dipinto infatti l’artista rompe con la tradizionale composizione quattrocentesca, ritmica ed equilibrata, che lui stesso aveva applicato alla Annunciazione.

La Vergine e il Bambino sono ora al centro di un vortice di figure investite, con varia intensità, dalla luce emanante dai due personaggi centrali.

La forma del dipinto, pressoché quadrata, permette a Leonardo di organizzare la scena secondo direttrici diagonali, il cui punto d’incontro è la testa della Madonna.

Questa, arretrata rispetto ai Magi inginocchiati, costituisce il vertice di una piramide, alla quale dà movimento rotatorio orientandosi leggermente con le gambe verso sinistra e volgendosi, come il Bambino, verso destra. Questo movimento si propaga a tutte le figure, vicine e lontane.

La composizione infatti è ordinata intorno a Maria e al  Bambino, che ricevono l’omaggio dei Re giunti dall’Oriente.

Quello a sinistra si prostra con il viso a terra, un altro più  giovane è inginocchiato davanti a lui e leva la testa verso il  Bambino, mentre il terzo porge un’offerta. Altri personaggi si accalcano a semicerchio intorno alle due  figure centrali.

Si rimane così colpiti dalla vivacità emanata dal quadro, dovuta  al fatto che tutte le figure sono in movimento e ciascuna ha un  atteggiamento diverso.

Non è solo un movimento fisico; è piuttosto l’espressione più appariscente della varietà e intensità dei sentimenti dei personaggi, ciascuno differenziato dall’altro, ma tutti accomunati da un uguale interrogativo.

Leonardo infatti è più interessato a sottolineare l’ansia di capire il mistero di quel Bambino sulle ginocchia della Madre, che narrare il fatto della sua nascita e del sopraggiungere dei Magi.

Per questo mancano alcune componenti usuali nell’iconografia dell’Adorazione: non è ambientata in una casa bensì in un’ampia piazza; non ci sono né il bue né l’asinello e anziché lo snodarsi del corteo dei Magi si scorge sullo sfondo la presenza di cavalli che scalpitano o s’impennano, quasi si svolgesse un combattimento equestre.

Da notare, infine, sempre sullo sfondo, colonne diroccate, simbolo della fine del paganesimo e l’inizio del Cristianesimo.

In Sant’Anna, la Vergine e il Bambino Leonardo dispiega tutta la sua visione artistica coniugandola con una vera e propria concezione di vita familiare.

Leonardo qui realizza una composizione dinamica, dove la struttura piramidale si associa a un movimento a spirale che parte dalla testa di Sant’Anna, prosegue nel corpo inclinato di Maria, le cui gambe e braccia sono volte verso Gesù, e termina con il grazioso duo formato dal Bambino e dall’agnello.

La forma a spirale rappresenta la trasmissione dell’amore da un personaggio all’altro: amore di sant’Anna per la figlia, di Maria per il figlio, del Bambino per tutta l’umanità, tanto da sfuggire dalle mani della Madre, per stringere l’agnellino, preconizzazione della croce.

L’amore infatti si percepisce negli sguardi e si legge nei corpi che si fondono e si confondono.

Il braccio destro di Anna sembra prolungarsi nel braccio destro della figlia, avvolto da una fine stoffa grigia che riprende il vestito della madre. Il velo scuro di Maria cade sul lato e pare fondersi con l’abito di Anna. Le braccia di Maria trovano il loro prolungamento in quelle del Bambino, il cui viso si gira verso quello delle due donne.

Commenta la storica dell’arte francese Murielle Neveaux:  

Raffigurate con visi seducenti per la loro infinita dolcezza e dai tratti giovanili, sant’Anna e Maria mostrano dei leggeri sorrisi e posano entrambe uno sguardo tenero sulla loro progenie: Anna su Maria, Maria su Gesù”.

E continua: “Le zampe disordinate dell’agnello, il viso girato del bambino, la sua gamba che cavalca maldestramente l’animale, le mani che giocano con le orecchie: tutto è grazia e leggerezza”. Questa scena di gioco illustra in filigrana il destino di Gesù, che resiste al gesto protettore della Madre e s’aggrappa al simbolo della passione”.

La scena familiare acquisisce dimensione soprannaturale attraverso la luce soffusa e i colori sapientemente modulati, con effetti atmosferici che legano le monumentali figure femminili in primo piano con l’ampio paesaggio dall’orizzonte altissimo sullo sfondo, caratterizzato da una veduta montana che sfuma in toni chiarissimi per effetto della prospettiva aerea. 

Un albero sulla destra, che emerge parallelo ad Anna dal suolo arido, ricorda che la santa restituisce la fecondità alle donne che non riescono a concepire. La pianta serve anche da legame tra il primo piano e lo sfondo paesaggistico, uno dei più belli che l’artista abbia mai realizzato.

Il colore spento e brumoso dello sfondo amplifica la plasticità del gruppo centrale, sapientemente composto con gesti e sguardi che si sviluppano anche in profondità, in un difficile equilibrio tra diagonali e linee contrapposte.

Nella tela Madonna Litta il profilo di Maria, che allatta il Bambino, si stacca nettamente dallo sfondo, costituito da un muro scuro, interrotto da due ampie aperture attraverso cui si scorge il vasto paesaggio. I capelli della madre perfettamente lisci sono in parte coperti da un velo bordato d’oro. È teneramente inclinata sul Bambino e si notano i boccoli dipinti con grande minuzia.

Il Bambino porta una mano al seno della madre, mentre  nell’altra tiene un cardellino. Questo uccello dalla testa rossa, che si nutre di semi di cardo,  è tradizionalmente associato alla corona di spine e alla Passione.

Il paesaggio, che si intravede dalle piccole aperture dello sfondo, è di tre ordini di catene collinari illuminate dal colore bianco-azzurro del cielo, che spazia  libero e immerso in una bruma dalle tonalità blu. Il quadro è stato dipinto nello stesso periodo dell’Ultima Cena e ne presenta alcuni elementi come, per esempio, il blu e il rosso del drappeggio della Vergine, che ricordano le tinte dei vestiti del Cristo.

In Madonna e il garofano Maria si trova in una stanza scura, rischiarata da due bifore sullo sfondo aperte sul paesaggio. E’ rappresentata a mezzobusto, seduta sopra un parapetto dove sono appoggiati un vaso di vetro con fiori  e, su un soffice cuscino, il paffuto Gesù Bambino, ritratto nudo.

La Vergine è riccamente abbigliata, con una veste rossa di tessuto leggerissimo, forse seta, e un mantello azzurro foderato di giallo che le lascia scoperte le maniche, producendo alcune ampie pieghe. Il mantello è chiuso sul petto da una spilla a medaglione con al centro una corniola circondata da perle. La sua acconciatura è elaborata, con trecce che incorniciano la fronte e reggono un velo semitrasparente, dal quale ricadono riccioli dorati ai lati del volto.

Maria, dall’espressione leggermente malinconica, guarda il Figlio e gli porge un garofano rosso, il cui colore ricorda il sangue della Passione.

Il Bambino, seduto, allunga le mani verso il fiore, quasi contorcendosi, ma il suo sguardo è assente, verso il cielo, quasi a simboleggiare l’accettazione della sua tragica sorte e il rimettersi nelle mani del Padre.

Il paesaggio, in lontananza oltre le finestre, è articolato su più piani e mostra una vallata e una serie di montagne che sfumano in una luce chiarissima.

Così il contrasto tra i colori della veste della Vergine e il fondo oscuro della parete, mentre il paesaggio sfuma in lontananza, consentono a Leonardo di rappresentare la scena, cogliendo, sia pure con compostezza, un attimo di intimità tra Madre e Figlio che giocano con il fiore.

Madonna di Benois  deve il suo nome alla famiglia che ne fu a lungo proprietaria, i Benois. 

Anche questo dipinto mostra la Madonna seduta col Bambino sullo sfondo di una stanza scura, rischiarata da una bifora aperta al cielo. Sulle ginocchia della Madre il Bambino cerca di afferrare il fiorellino che essa tiene in mano, con i movimenti e lo sguardo tipici dei bambini.

Maria è particolarmente giovane e, contrariamente alla tradizione iconografica, sorride guardando la tenera goffaggine del figlio e instaurando con lui un rapporto di serena familiarità. Le sue labbra infatti si atteggiano a un soddisfatto sorriso,  e la mano del Bambino trattiene la sua per scoprire il fiore  che ella stringe tra le dita. L’interazione tra le due figure è evidente e l’affetto che le lega è palpabile.

Il ricorso alle ombre consente a Leonardo di ammorbidire le figure e l’espediente della finestra aperta gli permette di aumentare l’effetto illuministico. 

L’uso del colore sfumato e vibrante scalda i toni della scena trasmettendo anche a questo dipinto un senso di intimità e tenerezza.

Secondo alcuni, il fiore sarebbe un’allegoria della futura crocifissione. 

La Madonna dei fusi ha subito recentemente varie vicissitudini: è un quadro sparito nel 2003 e ritrovato nel 2007.

Il dipinto mostra la Madonna seduta su una roccia in una sciolta posizione con le gambe verso sinistra, il busto frontale e la testa voltata verso destra, dove si trova il Bambino che, semisdraiato lungo la diagonale, tiene tra le mani un fuso a forma di croce, fissandolo con intensità. 

Sua madre, tra la sorpresa e il senso di protezione, sembra voler avvicinarlo a sé con il gesto della mano che è proiettata in avanti con un ardito scorcio, quasi come a uscire dal dipinto, ma il Bambino resiste aggrappandosi all’oggetto che anticipa ancora una volta il suo futuro sacrificio.

Straordinaria è la fusione atmosferica tra le figure in primo piano e l’amplissimo paesaggio sullo sfondo, in cui a destra si intravede una serie di picchi rocciosi in sequenza, che assomigliano al paesaggio che fa da sfondo del dipinto La vergine delle rocce.  

Questa attrattiva per le rocce è intimamente legata  alle ricerche che Leonardo conduce sulla formazione della terra, l’erosione delle rocce per effetto dell’acqua, la sedimentazione e la fossilizzazione. A sinistra, un fiume conduce a uno specchio d’acqua, circondato da montagne frastagliate immerse in una bruma bluastra.

L’aspetto azzurrognolo dei rilievi proviene dai suoi studi sull’atmosfera e sul colore che un paesaggio rinvia all’occhio in funzione della distanza e degli effetti congiunti del sole e della densità dell’aria. Perché due versioni della Vergine delle rocce?

Leonardo, rompendo con la tradizione, nella prima versione non mette aureole ai personaggi e sostituisce le ali  dell’angelo con una sontuosa cappa rossa. Ignora inoltre tutti gli abituali attributi di Giovanni Battista, come la croce di giunchi e la tunica di pelle di cammello.

La committente del quadro, la Confraternita laica dell’Immacolata Concezione di Milano, non ha apprezzato questa libertà, che il pittore si era preso. Leonardo  si trova così costretto a realizzare per loro una seconda versione del soggetto con tanto di aureola sopra il capo dei personaggi, la croce di giunchi in mano a Giovannino con ai fianchi uno straccetto di pelle, e un angelo dotato di ali. 

È comunque  estremamente complessa la lettura di questo capolavoro nelle sue due varianti. Il dipinto è ricco di simboli e di significati non solo artistici ma anche teologici. La grotta in cui Leonardo ambienta la scena è fortemente evocativa del mistero di quel grembo materno destinato ad accogliere il Figlio di Dio, e quindi del mistero dell‘Incarnazione. Maria, cioè, è la prescelta dall’eternità ad essere la Madre di quel Bambino su cui ora stende la sua mano, come a riconoscere il mistero straordinario di cui è partecipe, ma allo stesso tempo come a proteggere quel Figlio che darà la vita per la salvezza degli uomini.

L’opera ha forma piramidale, che abbiamo già notato nel dipinto di S. Anna e la Vergine col Bambino, e movimento rotatorio, che abbiamo già osservato nell’Adorazione dei Magi.

Dalla forma piramidale, attraverso il gioco di chiaroscuri, emerge la delicatissima figura della Vergine con movimento rotatorio morbido e delicato. Essa infatti è in una posa graziosa e dinamica allo stesso tempo, con gli occhi umilmente abbassati. Il busto segue il movimento della mano sinistra, che si stende con gesto protettivo sopra la testa del piccolo Gesù, mentre il capo s’inclina dal lato opposto.

La Vergine colpisce per il suo volto giovanile e delicato incorniciato dai boccoli.

Questo straordinario effetto l’artista lo ottiene eliminando la linea di contorno delle figure che è limite, confine, divisione, e la sostituisce con l’ombra, che invece di accentuare il rilievo, lo addolcisce per il delicato passaggio dal chiaro allo scuro, trasformandosi in “sfumato”.

Proprio perché viene a mancare il limite deciso della linea, sostituito dall’ombra, la figura della Vergine in movimento rotatorio, sia pure accennato, appare mossa, si direbbe quasi sfocata. 

Questa mancanza di limite, che crea un tutt’uno tra figura ed ambiente, distingue lo stile di Leonardo da quello, per esempio, del suo maestro Andrea del Verrocchio, che proprio a causa di nette linee di contorno dà ai personaggi dei suoi dipinti un’ apparenza più statuaria che figurativa.

Ne è un esempio Il Battesimo di Gesù, in cui i personaggi, Gesù e il Battista, sembrano scolpiti più che dipinti, tanto netti sono i contorni. 

 Ben diverso è l’angelo attribuito al giovane Leonardo, nella delicatezza dei tratti, nei riflessi dei capelli, nell’intensità espressiva, nella postura: busto orientato in una direzione, mentre la testa è girata dall’altra parte, apportando grazia e un sottile tocco di dinamismo alla figura, ha alcuni dei caratteri fondamentali che si manifesteranno nelle opere della maturità.

Del discepolo è anche lo sfondo con il fiume che si allontana tra rive rocciose trascolorando morbidamente, sfumando, confondendosi, quanto più aumenta la distanza, con gli altri elementi della natura.

Qui è già tutto Leonardo.

Infatti, anche nel dipinto della Vergine delle rocce riscontriamo tutti questi tratti tipici del grande artista e vi si distingue pure il paesaggio, costituito dalla vista di un fiume o lago in una prospettiva lontana e da strane formazioni rocciose che sovrastano Maria e il Battista bambino, le quali mimano e richiamano il movimento della mano-cupola della Vergine.

Alle rocce sono tenacemente abbarbicate, come un richiamo alla vita, le varie specie di erbe che sembrano quasi dei morbidi giacigli per i corpi dei due bambini.

Lo sfondo roccioso è realizzato con quella prospettiva aerea già rilevata. I piani infatti digradano in profondità schiarendo progressivamente i colori e rendendosi sempre più indeterminati.

La luce è anche qui crepuscolare e doppia: da sinistra e dal fondo, tanto più visibile questa, perché giunge attraverso l’oscurità della grotta. 

Si noti, infine, il diverso colore del cielo, azzurro in alto, chiaro in basso per la maggior presenza di quella che Leonardo chiama “aria grossa”.

Grazie alla sostituzione della linea di contorno con l’ombra, e quindi grazie alla tecnica del chiaro-scuro e dello sfumato, Leonardo rende totale il rapporto figura-ambiente, così che non dovrà esserci urto ma reciproca integrazione in un abbraccio tra l’uomo e tutte le cose.

Ed è proprio in questo contesto variegato di significati che la Vergine stende la mano sinistra sopra la testa del piccolo Gesù, mentre con la destra sospinge S. Giovannino verso il Figlio, che lo benedice con la piccola mano.

Questo gesto delle mani, che tendono a proteggere con tenerezza il Bambino e S. Giovannino, sembra alludere, ancora una volta, a un triste presentimento circa il loro destino.

Al destino di Giovanni sembra far cenno la mano benedicente di Gesù, che può significare mandato di precursore fino al sacrificio della vita.

Del Battista però Leonardo tiene a sottolineare l’importanza non solo attraverso l’indice dell’angelo puntato verso di lui ma anche ponendolo in una posizione più alta rispetto al piccolo Gesù.

Il destino del piccolo Gesù è prefigurato dalle gambe incrociate, che fanno prevedere la crocifissione, dove i piedi del Cristo saranno incrociati l’uno sull’altro.

Come si evidenzia, Leonardo, attraverso l’applicazione delle regole scientifiche della geometria, dell’ottica, dell’anatomia, della fisiognomica e della botanica e mediante il gioco dei volti, delle mani e degli sguardi, delle ombre e della luce, riesce ad esprimere l’indicibile che si cela dentro la realtà, entrando nell’animo dei personaggi, svelandone i pensieri e i sentimenti più veri e più profondi.

Così che, come dirà tre secoli più tardi il pittore spagnolo J. Mirò: “L’arte non rappresenta il visibile ma rende visibile l’invisibile”.Così come scriverà anche lo scrittore francese Saint Exupéry, autore del Piccolo principe: “L’essenziale è invisibile agli occhi. Lo si vede bene solo con il cuore”.

Ma Leonardo stesso tre secoli prima aveva scritto nel suo Trattato della pittura:

“Dona alle tue figure un atteggiamento rivelatore dei pensieri che i personaggi hanno nell’anima, altrimenti la tua arte non meriterà la lode”. E ancora: “Il pittore non è laudabile, se non è universale”.

Ma chi è questa donna che Leonardo fa soggetto e protagonista di tanti suoi capolavori? La più bella risposta alla domanda l’ha data Dante, che all’inizio del Canto  XXXIII del Paradiso la dichiara madre e allo stesso tempo figlia di suo Figlio.

Vergine Madre, figlia del tuo figlio,

umile e alta più che creatura,

termine fisso d’etterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura

nobilitasti sì, che ‘l suo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura…

In te misericordia, in te pietate,

in te magnificenza, in te s’aduna

quantunque in creatura è di bontate.

(Paradiso Canto XXXIII)

Certamente non è da meno la dichiarazione che la Vergine fa di se stessa nel Magnificat.

Il Signore… ha guardato l’umiltà della sua serva.

D’ora in poi tutte le generazioni

mi chiameranno beata.

Gradi cose ha fatto in me l’Onnipotente.

La Vergine, dunque, ha la grazia di essere  madre e figlia dello stesso suo Figlio, il cui destino è preconizzato, come si è visto, attraverso il simbolo dell’agnello, del garofano, del fiorellino, del cardellino e del fuso a forma di croce, che si scorgono nelle opere esaminate e in particolare attraverso il gesto della Vergine delle rocce che tende a proteggere il Bambino con tenerezza, insieme a S. Giovannino, alludendo, appunto, a una loro triste fine. 

Conosciamo il destino di Giovanni Battista, cui verrà tagliata la testa su richiesta della giovane Salomè, istigata dalla madre Erodiade, che Caravaggio, ha immortalato in uno dei suoi capolavori.

Il destino del Figlio della Vergine si viene delineando invece nell’Ultima Cena, che Leonardo immortala in un’opera  considerata all’unanimità uno dei vertici della pittura di tutti tempi. E non soltanto di quella sacra.

Il geniale artista crea il suo capolavoro tra il 1494 e il 1498,  sulla parete settentrionale del refettorio del convento domenicano di S. Maria delle Grazie, un’aula lunga e, in proporzione, piuttosto stretta, secondo una prospettiva però che fa apparire la sala in tutta la sua profondità spaziale e che attira lo sguardo verso un unico punto di fuga, per mettere in risalto il personaggio più importante della composizione, Gesù.

Il grande artista, in questo suo capolavoro, applica non solo la tecnica della prospettiva ma pure le regole dell’anatomia e della fisiognomica, riuscendo, in maniera straordinaria, ad entrare nell’animo sia di Gesù sia dei discepoli, svelandone sentimenti e pensieri di un momento drammatico, attraverso l’espressione, ancora una volta, dei volti, degli sguardi, dei gesti.

Leonardo coglie infatti e rappresenta il momento della improvvisa e inaspettata dichiarazione di Gesù: 

In verità, in verità vi dico. Uno di voi mi tradirà” (Gv 13, 21).

Di qui gli interrogativi dei discepoli:

 Chi è? Sono forse io? Chi avrebbe potuto fare ciò?

E si guardano l’un l’altro smarriti, disorientati, attoniti. 

L’effetto è straordinario ma insieme paradossale, perché essi, invece che stringersi attorno al loro Maestro in questo momento così drammatico, paiono ritirarsi da lui, spinti fuori, verso l’esterno, perché quella impensabile e inaspettata dichiarazione li mette decisamente in crisi.

Proprio perché il tradimento si è insinuato nel loro gruppo.

È un’immagine, del resto, che anticipa quanto accadrà da lì a poco nel Getsémani, quando i discepoli non riusciranno a vegliare insieme a Gesù, e poi, mentre il loro Maestro viene catturato, lo abbandoneranno fuggendo. Tutti, nessun escluso.

Gesù, quindi, è solo, isolato, nella sua commozione.

Gesù infatti siede al centro della scena, le braccia aperte, il capo leggermente reclinato. Il suo sguardo non indugia sui volti dei discepoli, così come non incrocia gli occhi di noi spettatori, ma è rivolto verso il basso, verso la tavola. La sua bocca è socchiusa, mentre l’improvvisa e inaspettata dichiarazione di Gesù – “uno di voi mi tradirà” – sembra ancora aleggiare nella stanza, risuonando nelle orecchie dei discepoli.

Gesù risponderà al tradimento di Giuda e all’abbandono dei discepoli con un atto d’amore: l’istituzione dell’Eucaristia. Lo rivelano il suo volto e le sue mani. Quel volto che si fissa sul pane e sul vino e quelle mani che mostrano che quel pane e quel vino si sono trasformati nel suo corpo e nel suo sangue.

Il pane Gesù lo offre per la prima volta in questa sua ultima cena, che Leonardo ci invita a contemplare. Si può capire così il senso della particolarità, unica e straordinaria, che si impone al nostro sguardo, delle mani di Cristo. Scrive Luca Frigerio: “esse sono raffigurate in modo sorprendentemente diverso, cioè in due posizioni differenti: la mano destra col palmo rivolto verso la tavola, la mano sinistra col palmo verso l’alto. Questa particolarità asimmetrica serve per illustrare due momenti ben distinti, quello della consacrazione e quello del dono di sé. Con il gesto  della mano destra Gesù prende il pane e il vino che ha appena benedetto e consacrato. Con il gesto della mano sinistra offre il suo corpo e il suo sangue”. Si tratta di un’anticipazione del sacrificio che sarà compiuto tra poche ore sulla croce.

Ma chi è questo straordinario e misterioso personaggio che è Gesù? La risposta ce l’ha rivelata in maniera esemplare e coinvolgente il genio di Leonardo in questo capolavoro, che è l’Ultima Cena.

 Ma ce la suggerisce con puntuale precisione un altro grande artista moderno, Vincent Van Gogh in una sua lettera al fratello Theo:

Attualmente, nonostante tutto, crediamo ancora che la vita sia piatta e vada dalla nascita alla morte. Solo che anch’essa, la vita, è probabilmente rotonda e molto più vasta in estensione e in capacità dell’emisfero che attualmente noi conosciamo”.

E aggiunge: “il Cristo soltanto ha fatto dichiarazioni relative all’altra metà dell’esistenza. Egli infatti ha affermato con sicura certezza la vita eterna del tempo, il nulla della morte, la necessità e la giustificazione di essere nella serenità e nella dedizione. Egli ha vissuto serenamente, come il più grande artista degli artisti, sdegnando sia il marmo che l’argilla e il colore, e lavorando sulla carne viva. Vale a dire che questo artista inaudito e quasi inconcepibile… non faceva né statue né quadri né libri: lo affermo ad alta voce, egli faceva degli uomini vivi degli immortali. Ciò è grave, soprattutto perché è la verità” (Vincent Van Gogh)



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