Intervista a MATTEO REALE
MATTEO REALE – Consulente per la strategia d’impresa, Matteo Reale è presidente di CNA Milano e di ECIPA (l’ente di formazione di CNA Lombardia). È inoltre co-autore, insieme a Stefano Binda (Segretario di CNA Lombardia), del libro “Una questione di libertà. Poteri, imprese e territori nel cuore dell’Europa” (Guerini e Associati Edizioni, 2025).

Come presidente di CNA Milano e come presidente di ECIPA, hai uno sguardo privilegiato sul mondo delle imprese lombarde, dall’innovazione milanese al tessuto artigianale e industriale degli storici distretti produttivi della regione. Quali sono oggi le difficoltà e le grandi sfide, locali e internazionali, che le aziende devono affrontare?
È sotto gli occhi di tutti che le trasformazioni che coinvolgono il settore artigianale e industriale sono tante e molto rapide, cui si aggiungono difficoltà di contesto: pensiamo alle crisi internazionali, alle barriere economiche e ai dazi, che frenano l’export in alcuni settori, al costo dell’energia. Si parla perciò di policrisi, di diverse situazioni critiche che si accavallano e che intervengono contemporaneamente.
Certamente però le crisi possono diventare delle opportunità. Vediamo per esempio il caso dell’accelerazione tecnologica: è un’opportunità di crescita se le politiche dell’innovazione permettono alle imprese lombarde e italiane di investire in questo ambito, se le infrastrutture agevolano gli investimenti, se c’è l’opportunità di dare nuova vita alle aree periferiche o meno centrali attraverso gli insediamenti di data center, di poli logistici, di centri di ricerca. Bisogna quindi tornare a considerare la manifattura e i servizi collegati come uno degli asset principali per lo sviluppo: in questo contesto rientra tutta l’innovazione relativa al comparto del software, che è a buon diritto una gamba importante della qualità produttiva italiana, che deve però difendersi dalla concorrenza anche sleale che viene dai paesi extra-europei. Penso invece che il mondo del turismo, della ristorazione, della ricettività, pur importante per il nostro territorio, sia ancora marginale rispetto al resto.
Certamente però le imprese devono affrontare il grande problema del mismatching tra domanda e offerta di lavoro e del passaggio generazionale: siamo entrati in una fase in cui al calo demografico molto rilevante si aggiungono carenze di competenze specifiche e un nuovo rapporto dei giovani con il mondo del lavoro. Su questo tema (per esempio sulla formazione continua di imprenditori e lavoratori) bisogna investire molto, e molto rapidamente. E bisogna dotarsi di lavoratori stranieri attivando corridoi professionali qualificati.
In un contesto internazionale molto complesso come quello attuale, gli imprenditori lombardi fanno affidamento su bandi e finanziamenti pubblici e in generale su scelte politiche (a livello europeo, nazionale e regionale) in grado di dare risposte adeguate alla crisi. Da questo punto di vista cosa è stato fatto finora e cosa dovrebbe essere fatto in futuro?
Il tema dei bandi e degli incentivi è fondamentale per le imprese lombarde, soprattutto quando la politica industriale è carente o poco coerente negli anni. Questi strumenti sono quindi necessari per permettere anche alle aziende di minori dimensioni di fare formazione (upskilling, ma anche reskilling), di investire in innovazione, di migliorare la propria strumentazione. Una delle nostre battaglie, sia a livello locale che nazionale, è quella di fare capire come gli strumenti di questo tipo non siano sempre adeguati alle dimensioni medie delle nostre imprese, e che occorre una burocrazia più snella per la loro gestione. Siamo ora in un mondo diverso da quello di vent’anni fa.
Un discorso analogo si può fare a livello europeo: la stretta sui Fondi di coesione europei, che oggi sono di competenza regionale, e che si vorrebbe invece assegnare ai governi nazionali, può essere una svolta molto negativa, perché farebbe inevitabilmente calare le quote destinate alla Lombardia. Questo però non vuol dire che ci serva meno Europa: serve molto, anche all’Italia, una politica economica europea coerente e un mercato unico europeo forte e coeso, come spazio privilegiato di export o di ricerca. Su questo c’è ancora molto da fare.
Ti occupi da molti anni di etica d’impresa e di sostenibilità. Da questo punto di vista come si stanno evolvendo le aziende e cosa sta cambiando?
Il tema dell’etica e della sostenibilità d’impresa è un altro tema di innovazione. La sostenibilità non è solo un obbligo di compliance, ma un modo di orientare le politiche aziendali con una visione non più di breve termine, ma di medio e lungo termine, in cui consistenza economica, che è ovviamente fondamentale, ruolo sociale e impatto ambientale rendono l’organizzazione più solida di fronte ai rischi e ai cambiamenti repentini del mercato o del contesto economico. Sostenibilità in questa accezione fa rima con longevità. E questo le PMI italiane, che sono spesso e orgogliosamente aziende familiari, lo sanno, perché non si preoccupano solo dell’andamento trimestrale ma anche di quello di lungo periodo, che coinvolge spesso le proprie famiglie. Il fenomeno crescente delle Società Benefit, per esempio, testimonia questa visione della sostenibilità.
La sostenibilità fa oggi anche rima con relazione: relazione con i clienti, con gli azionisti, con i dipendenti, con tutti gli stakeholder. Contrariamente al passato, oggi senza una buona capacità di relazione (cioè continua, coerente e corretta) non si riescono a costruire rapporti anche economici profittevoli e duraturi. Oltre alla competizione c’è quindi la collaborazione. Per questo l’etica d’impresa è importante: è una bussola che permette di guidare le scelte dell’azienda e di far collaborare con tutti i portatori d’interesse (che possono essere anche i familiari), in modo conseguente all’identità e ai valori dell’azienda. Su questi temi devo dire che la consulenza gioca un ruolo: di recente l’AD di un’azienda lombarda cliente mi raccontava di come si era ridotto sensibilmente il turn over nelle sedi dove avevamo fatto interventi formativi ai collaboratori, con conseguenti vantaggi economici.
Quali sono oggi a tuo avviso gli asset strategici che non possono mancare in un’impresa competitiva?
Il primo asset è l’innovazione. Non solo tecnologica, ma anche di competenze professionali. Investire in tecnologia è una necessità per competere sui mercati. Accanto alla tecnologia però è richiesta la capacità da parte dell’imprenditore e dei suoi collaboratori di acquisire costantemente nuove skills, hard e soft. Una di queste skills è avere la capacità di lettura dei fenomeni industriali e sociali, per interpretare il cambiamento continuo senza subirlo.
L’impresa deve avere l’attitudine, come ce l’hanno molte nostre imprese, di essere antifragile: di resistere ai cambiamenti mutando pelle se necessario e adattandosi alle nuove situazioni. Quindi essere rapidi nelle risposte di nuovi prodotti o servizi, in risposta alle esigenze del mercato.
Fare della creatività un elemento di prodotto e di marketing, che permetta anche di sottolineare la distintività della propria proposta.
Un altro asset è il rapporto con la catena del valore: costruire una catena solida, con relazioni continue e durature, continuando a sviluppare scambi e idee per migliorare i processi o i prodotti. Difficilmente le imprese possono rimanere competitive da sole: devono essere capaci di costruire alleanze, cooperazioni, interazioni.
Infine un asset è quello valoriale: condividere all’interno dell’impresa i valori consolidati, far vivere l’identità anche nei rapporti con i clienti, non dimenticare il territorio in cui si opera, come funziona e cosa richiede. In definitiva, raccontare non solo quello che si fa, ma il perché lo si fa, la motivazione che è all’origine di ogni azione imprenditoriale.