Crisi energetica. L’impatto sulle aziende tessili italiane
BOTTO GIUSEPPE E FIGLI S.P.A. – Storica azienda tessile italiana fondata nel 1876, Botto Giuseppe ha sede centrale a Valdilana, in provincia di Biella, e produce tessuti, jersey, filati per maglieria, aguglieria, tessitura e accessori. Ha un fatturato di oltre 60 milioni di euro e circa 300 dipendenti, e opera anche attraverso lo stabilimento di Tarcento, in Friuli Venezia Giulia.
Le bollette per l’energia elettrica e il gas che stanno arrivando in questi ultimi mesi nelle aziende tessili italiane presentano – rispetto a un anno fa – aumenti che arrivano in certi casi fino a un +800% e che – nei casi più “fortunati” – mettono capo comunque a numeri raddoppiati o triplicati rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Questo shock energetico – legato alla guerra della Russia in Ucraina e alla difficile situazione geopolitica internazionale – che impatto sta avendo, nell’immediato, sulla produzione tessile Made in Italy? Come possono reagire le aziende?
I costi energetici, che erano già aumentati sensibilmente negli ultimi mesi del 2021 e all’inizio del 2022, ora – a distanza di un anno – stanno andando letteralmente fuori controllo, e non soltanto dal punto di vista quantitativo. La situazione è difficile perché le bollette sono molto più alte – certamente – ma anche perché si è costretti a lavorare in una situazione di incertezza assoluta, nella quale è praticamente impossibile pianificare e programmare quelli che saranno da una parte gli ordini e dall’altra i costi da sostenere (e quindi le quotazioni da stabilire e proporre ai clienti). Si naviga a vista in un contesto nel quale nemmeno possiamo avere la certezza di avere il gas necessario per il prossimo anno, sempre che non si aprano – anche per noi – scenari di guerra ancora più allarmanti, data la drammatica evoluzione che sta avendo il conflitto tra Russia e Ucraina. Sperando che dal punto di vista bellico non ci siano ulteriori degenerazioni, resta comunque aperto – per le aziende tessili italiane – il problema di attraversare indenni quella che è tutti gli effetti una tempesta perfetta, che vede una concomitanza tra l’aumento post-Covid della domanda, la non pianificabilità del lavoro (in un mondo come il nostro che una volta era abituato a operare in un quadro di stagionalità, con tempi di inerzia facilmente prevedibili), la difficoltà nel trovare personale competente e motivato (anche perché negli anni del Covid non poche persone che lavoravano nell’ambito del tessile-moda si sono spostate su altri settori), e infine lo shock energetico e quindi l’aumento e l’estrema volatilità dei costi dell’energia elettrica e del gas.
Un tempo si diceva, nel mondo tessile, che per essere competitiva un’azienda italiana doveva avere idealmente un costo della manodopera inferiore al 20% del fatturato, altrimenti avrebbe avuto una forte convenienza a delocalizzare. Oggi il costo della manodopera, nel tessile italiano, può scendere anche a livelli inferiori, e sotto questo aspetto siamo diventati competitivi. È chiaro però che se i costi del gas e dell’energia aumentano di cinque o sei volte, diventa molto difficile competere con le aziende tessili di Paesi extraeuropei (per esempio Turchia, Cina, India o Pakistan) che non hanno avuto aumenti di questo tipo.
Come possono reagire le aziende tessili italiane?
Puntando sulla qualità del prodotto e – dal punto di vista energetico – riducendo i consumi e incrementando l’autoproduzione di energia rinnovabile e sostenibile, cosa che noi facciamo da oltre vent’anni (dal 2001) con importanti investimenti. Ridurre gli sprechi e adottare un approccio ecosostenibile, nel mondo tessile, ormai non è più soltanto una scelta etica, o un vantaggio in termini di comunicazione e di marketing, ma in prospettiva futura diventa anche un elemento imprescindibile per essere competitivi sul piano dei costi di produzione. In questa fase c’è chi vorrebbe tornare indietro sul fronte dell’ecologia, adottando un’ottica di breve periodo di fronte a un’emergenza. Sarebbe un errore gravissimo. Dobbiamo capire che solo incentivando l’autoproduzione energetica pulita delle aziende italiane, e soltanto se superiamo gli eccessi del sistema del tessile-moda (saldi-sprechi-invenduto-ecc.) possiamo avere un futuro, acquisendo solidità e autonomia rispetto alle mutevoli condizioni economiche e geopolitiche internazionali.
In che misura questo shock energetico rischia di determinare, sul breve e medio termine, un blocco del processo di reshoring dall’Asia – che aveva ricevuto una forte spinta dalla pandemia e dalla crisi delle supply chain globali – e un ulteriore spostamento delle produzioni tessili italiane in Turchia e in altri centri di produzione extraeuropei?
Negli ultimi due anni c’è stata una crisi delle supply chain globali che ha portato a un incremento inedito nei costi dei trasporti e dei servizi logistici intercontinentali, con elementi di incertezza estremi e con ritardi nelle consegne che hanno portato in primo piano il tema del reshoring delle produzioni tessili in Italia e in Europa. Se i container che partono dall’Asia costano dieci volte di più rispetto a tre anni fa e se non si sa con certezza né quando né se arriveranno a destinazione, è chiaro che si apre un’opportunità importante per le aziende che producono in Europa, un’opportunità epocale che questa crisi energetica sta vanificando completamente. Se le istituzioni italiane ed europee riescono a intervenire adeguatamente per fronteggiare l’emergenza energetica si possono aprire – sulla questione del reshoring delle produzioni tessili – degli scenari interessanti, altrimenti le prospettive potrebbero diventare rapidamente drammatiche. Sulla questione del gas e dell’energia elettrica in Italia ci stiamo stringendo il cappio intorno al collo e qualcuno – a livello politico – deve intervenire rapidamente per bloccare questo suicidio.
L’Italia, operando in un quadro europeo, si sta muovendo per raggiungere, nel giro di alcuni anni, una maggiore autosufficienza energetica. Nell’immediato, tuttavia, le aziende tessili hanno bisogno di un sostegno concreto e rapido. Da imprenditore e manager tessile cosa chiede alle istituzioni italiane ed europee? Quali interventi politici auspica?
Un effetto benefico della pandemia (uno dei pochi…) è stato l’aumento della sensibilità europeista dei governi e delle popolazioni dei diversi Paesi europei, e questo nuovo senso di unità europea faceva ben sperare rispetto all’evoluzione di un continente che se vuole contare davvero qualcosa di fronte agli imperi americano e cinese deve essere unito e coeso. Purtroppo, superata la fase critica dell’emergenza pandemica, sono tornate le divisioni e gli approcci di parte, con i Paesi del Nord Europa che – avendo smantellato e delocalizzato da tempo la poca manifattura che avevano, e avendo una ricchezza media considerevole – stanno sottovalutando l’impatto dello shock energetico sulla produzione industriale europea, e dall’altra i Paesi a forte vocazione manifatturiera come l’Italia che non hanno la capacità e il peso politico per far valere le proprie istanze in sede Ue. La prima cosa che auspico come imprenditore tessile è che l’Europa – di fronte alla crisi energetica – torni a compattarsi e che i Paesi nordeuropei capiscano che sostenere il tessuto manifatturiero europeo è una scelta che garantisce anche a loro una maggiore sicurezza per il futuro, in un contesto di estrema incertezza e di globalizzazione impazzita e in continua evoluzione come quello che stiamo attraversando e con il quale continueremo ad avere a che fare nei prossimi decenni. Serve un tetto Ue al prezzo del gas e dell’elettricità, prezzo che deve tornare stabile, deve consentire alle aziende di pianificare anno su anno la produzione come si faceva una volta, senza questa incertezza estrema che impedisce al momento qualsiasi programmazione industriale, e deve consentire ai cittadini di far fronte senza drammi familiari al pagamento delle bollette.
La seconda cosa che come imprenditore auspico è una maggior serietà delle istituzioni e della classe politica italiana, rispetto alle problematiche delle imprese e in relazione alla transizione ecologica, che è il fulcro a partire dal quale affrontare per il futuro anche la crisi energetica. Negli ultimi anni ho visto in Italia troppi bonus estemporanei lanciati a caso e soggetti ad abusi di ogni genere, troppi sussidi, troppi spot elettorali, troppe società pubbliche – nell’ambito delle energie rinnovabili – che sono servite più a far girare soldi e poltrone che ad affrontare adeguatamente i problemi, troppa burocrazia e troppe regole astruse che hanno disincentivato le aziende e i cittadini a investire veramente su questo fronte. La riduzione della dipendenza energetica è un obiettivo strategico per l’Italia, ma la si raggiunge con un approccio serio, non con iniziative caotiche, disordinate e sbagliate.
La sua azienda come si sta muovendo – in questo momento difficile – per fronteggiare la crisi energetica?
Ci stiamo muovendo come abbiamo sempre fatto negli ultimi vent’anni, cioè investendo nelle energie rinnovabili, nel fotovoltaico e nell’autoproduzione energetica.
Su questo fronte ci siamo mossi con largo anticipo rispetto alla crisi energetica attuale, con investimenti che hanno riguardato – nella nostre fabbrica di Valdilana (Biella) – gli impianti di cogenerazione, gli impianti di condizionamento, i compressori, le centrali di pompaggio e i bruciatori, l’illuminazione, il recupero termico dalla rievaporazione condense, l’installazione di recuperatori sui camini delle caldaie, il recupero e il riutilizzo dell’acqua di raffreddamento dei compressori, l’installazione del controllo in continuo della combustione sui generatori di vapore, l’installazione di una microturbina che sfrutta il salto idraulico tra l’opera di presa acqua industriale posta a 70 metri al di sopra dello stabilimento e le vasche di accumulo a servizio dei reparti. Mentre nella nostra fabbrica di Tarcento, in Friuli, siamo intervenuti ammodernando la centrale idroelettrica a servizio dello stabilimento, installando dei pannelli fotovoltaici sui tetti dello stabilimento, migliorando gli impianti di condizionamento, contenendo le perdite di aria compressa, installando lampade a Led, sostituendo la vecchia caldaia con una nuova caldaia a condensazione, installando una turbina che recupera l’acqua scaricata per mantenere il deflusso minimo vitale sul torrente Torre, e provando perfino a creare una centrale ad olio vegetale.