Energia, gas e tessile italiano

Energia e gas. La situazione del tessile italiano

Intervista a Vincenzo Cangioli – CEO Lanificio Cangioli

LANIFICIO CANGIOLI 1859 – Storica industria tessile italiana con sede a Prato, fondata nel 1859, Cangioli è oggi un Gruppo con tre aziende di produzione (Cangioli, Pentarif per la tintoria e rifinizione, Manifattura Tessile Malaparte per la tessitura) e con quattro brand presenti sul mercato (Lanificio Cangioli, Even More, Vallombrosa e Sushi-Shirt).

 

Le bollette per l’energia elettrica e il gas che stanno arrivando in questi ultimi mesi nelle aziende tessili italiane presentano – rispetto a un anno fa – aumenti che arrivano in certi casi fino a un +800% e che – nei casi più “fortunati” – mettono capo comunque a numeri raddoppiati o triplicati rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Questo shock energetico – legato alla guerra della Russia in Ucraina e alla difficile situazione geopolitica internazionale – che impatto sta avendo, nell’immediato, sulla produzione tessile Made in Italy? Come possono reagire le aziende?

Il problema è grave, con aumenti dei prezzi energetici molto superiori rispetto a quello che ci aspettavamo. I margini stanno soffrendo e si sono già ridotti significativamente. Per fortuna nel nostro caso stiamo riuscendo a compensare il problema grazie a un aumento dei volumi di produzione: da oltre un anno, a causa della crisi delle supply chain globali e al parziale reshoring delle produzioni tessili in Europa, ci troviamo a fronteggiare un aumento della domanda e un picco degli ordini. Ora, però, con questa crisi energetica, la situazione si complica, e ci obbliga a muoverci in un quadro, non semplice da gestire, nel quale – rispetto al passato – si produce di più ma con margini più bassi. Tenendo conto, peraltro, che aumentare i prezzi per i nostri clienti è possibile solo entro certi limiti, altrimenti anche i brand più “affezionati” al Lanificio Cangioli sarebbero costretti a rivolgersi altrove.

Siamo un’azienda sana e usciremo bene da questo frangente storico, ma è chiaro che in questo momento le circostanze economiche e geopolitiche non aiutano gli imprenditori tessili italiani nel loro lavoro.

 

In che misura questo shock energetico rischia di determinare, sul breve e medio termine, un blocco del processo di reshoring dall’Asia – che aveva ricevuto una forte spinta dalla pandemia e dalla crisi delle supply chain globali – e un ulteriore spostamento delle produzioni tessili italiane in Turchia e in altri centri di produzione extraeuropei?

Con la crisi energetica in Italia stiamo bruciando un’occasione d’oro, che aspettavamo da anni. Il ritorno delle produzioni tessili in Europa è un fenomeno che negli ultimi due anni era andato incontro a una forte accelerazione, a causa della pandemia e delle innumerevoli problematiche legate alla logistica e ai trasporti su lunga distanza.

La Cina si sta isolando sempre di più e sta perdendo le produzioni tessili di fascia più bassa a vantaggio di Paesi come il Bangladesh, la Thailandia, il Vietnam e il Pakistan, mentre persistono criticità e incertezze relative ai trasporti intercontinentali, per cui personalmente non credo che i brand che hanno scelto fornitori tessili europei tornino a rifornirsi prevalentemente in Asia. Da questo punto di vista sono convinto che il reshoring del tessile in Europa rappresenti l’inizio di una nuova fase storica rispetto alla quale non si tornerà indietro facilmente.

Il problema è che nell’area europea e mediterranea la situazione del caro-energia è tutt’altro che omogenea: mentre in Italia le bollette dell’energia e del gas sono più che raddoppiate, in Turchia c’è stato soltanto un lieve aumento, e in Spagna e in Portogallo è stato possibile fissare un price cap per il gas, con il consenso dell’Unione Europea e grazie alle ridotte interconnessioni energetiche tra la penisola iberica e l’area Ue.

Personalmente, in questo momento, vedo molto bene la situazione dell’industria tessile in Portogallo (Paese con una grande tradizione di settore e con forti competenze) e in Turchia (Paese che nel tessile sta crescendo a ritmi impressionanti e che può contare anche sulla fortissima svalutazione della lira turca, con evidenti vantaggi nell’export e con pochi inconvenienti nell’import, essendo quella turca una filiera tessile integrata che copre tutte le fasi produttive). Ma è chiaro che Portogallo e Turchia hanno in questo momento – rispetto a noi – l’enorme vantaggio relativo ai minori costi energetici, un gap oggettivo di competitività che l’imprenditore italiano – fosse anche il più bravo del mondo – nell’immediato non può colmare senza l’aiuto delle istituzioni politiche. Quello che dobbiamo fare è tenere duro di fronte a un problema – quello del caro-energia – che a un certo punto finirà. L’Italia ha un tessuto storico di grandi eccellenze tessili che vanno assolutamente tutelate.

 

L’Italia, operando in un quadro europeo, si sta muovendo per raggiungere, nel giro di alcuni anni, una maggiore autosufficienza energetica. Nell’immediato, tuttavia, le aziende tessili hanno bisogno di un sostegno concreto e rapido. Da imprenditore e manager tessile cosa chiede alle istituzioni italiane ed europee? Quali interventi politici auspica?

Temo che questa situazione non potrà risolversi nel giro di qualche settimana. Secondo me le aziende tessili italiane dovranno fare i conti con il problema del caro-energia – mi auguro mitigato da interventi politici ma difficilmente risolvibile in toto nell’immediato – per tutto il 2023 e per buona parte del 2024. E’ chiaro comunque che le istituzioni italiane ed europee possono e devono fare la loro parte per aiutare le aziende ad attraversare questo momento difficile.

Innanzitutto mi aspetto che l’Unione Europea non possa tollerare a lungo l’eterogeneità nei prezzi energetici tra i diversi Paesi di cui ho parlato nella precedente risposta a proposito della Penisola Iberica. Bisogna mitigare i prezzi e bisogna farlo in modo uniforme, nel quadro di un rilancio della manifattura europea e di un piano serio di medio termine di reindustrializzazione, un piano che non può esaurirsi in bonus e finanziamenti locali estemporanei (che peraltro impediscono agli imprenditori qualsiasi pianificazione strategica) e che deve essere spinto in sede Ue dai grandi Paesi manifatturieri come la Germania e l’Italia, senza subire i ricatti energetici di Paesi mercantili come l’Olanda.

In secondo luogo questo piano di reindustrializzazione europea – che è necessario perché l’Europa non può vivere soltanto di turismo, servizi e commercio – può e deve avvenire nel contesto di investimenti in grado di migliorare la sostenibilità e il risparmio energetico nell’industria tessile. Come la Crisi Petrolifera degli anni Settanta favorì la ricerca per la produzione di automobili meno inquinanti e dai consumi più ridotti, allo stesso modo oggi quello che possiamo auspicare è che la crisi energetica possa dare un’accelerazione alla svolta green nella manifattura tessile, incentivando l’utilizzo delle energie rinnovabili. Su questo fronte noi ci muoviamo con investimenti importanti da anni, ma sempre facendo i conti – come spesso avviene in Italia – con una burocrazia arzigogolata e onnipervasiva, una burocrazia che rappresenta uno dei problemi più gravi del nostro Paese e che va assolutamente snellita.

 

La sua azienda come si sta muovendo – in questo momento difficile – per fronteggiare la crisi energetica?

Sostenibilità, efficienza energetica e bassi consumi sono oggi per noi le parole d’ordine, e su questo fronte stiamo lavorando da quindici anni (a partire dal 2007), con una forte accelerazione negli ultimi cinque anni. I risultati sono arrivati e oggi, certamente, possiamo dire di avere un profilo energetico all’avanguardia, il che ci sta anche aiutando a contenere i costi di fronte al fenomeno del caro-energia.

Inoltre stiamo cercando di fare un po’ di Lateral Thinking, analizzando la possibilità di trovare cicli alternativi e innovativi di produzione su nicchie di prodotto, e in particolare per quanto concerne la parte di tintoria e finissaggio.



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