Intervista a Bruno Monti – co-owner Gruppo Tessile Monti
GRUPPO TESSILE MONTI– Gruppo italiano leader nel settore dei tessuti per camiceria, fondato nel 1911 e oggi con oltre 3.400 addetti, comprende la capogruppo Tessitura Monti (fondata nel 1911 e con sede centrale a Maserada sul Piave, in provincia di Treviso), Tessitura Monti Cekia (con sedi in Repubblica Ceca, a Borovnice e a Studenec), Tessitura Monti India (con sedi a Kolhapur e a Andheri), Laguna Clothing (con sedi alle Isole Mauritius e in India, a Bangalore e a Kanakpura), Schoch (con sedi a Ranica, in provincia di Bergamo, e a Kolhapur, in India), S.I.C. Tess (con sede a Maserada sul Piave, in provincia di Treviso), Aurora Apparel (con sede a Nipani, in India).
Quali sono i vostri mercati di riferimento e com’è oggi la situazione del vostro settore, la camiceria?
Il principale mercato di riferimento è ancora oggi l’Europa, e in Europa ci sono quattro Paesi particolarmente importanti per i fatturati del Gruppo: l’Italia, l’Inghilterra, la Spagna e la Francia. Vendiamo comunque in tutto il mondo (ad oggi in più di cento nazioni) e abbiamo un business sempre più interessante in Asia (con numeri significativi in Giappone, in Cina e in Corea del Sud), mentre in altre aree – penso soprattutto al Sudamerica – il mercato per noi è marginale.
La situazione, comunque, non è semplice, e ormai da anni la camicia come prodotto sta soffrendo in maniera significativa. Parliamoci chiaro: tra le nuove generazioni (e comprendo anche i quarantenni…) l’uso della camicia in senso stretto sta diventando marginale. Oggi i ragazzi indossano le t-shirt e la camicia la usano solo per andare a qualche festa comandata, e anche tra i nostri clienti di alta gamma – cioè tra i brand dell’alta moda – si sta diffondendo la tendenza a proporre delle maglie, anziché delle camicie, sotto la giacca. Parliamo peraltro di t-shirt che in alcuni casi costano una follia, e comunque non meno delle camicie, e abbiamo a che fare con un fenomeno che è analogo a quello che sta avvenendo nel caso delle scarpe, con la sostituzione della calzatura elegante e tradizionale con sneakers firmate per le quali i ragazzi sono disposti a spendere anche diverse centinaia di euro.
Siamo davanti a un cambio dei costumi epocale, e personalmente non credo (ma spero ovviamente di sbagliarmi) che tra qualche anno ci possa essere un’inversione di tendenza sostanziale e un ritorno significativo della camicia, che rimarrà un capo importante – ovviamente – ma senza tornare ai numeri dei tempi d’oro. Questo non significa, peraltro, che io non sia ottimista sul futuro del Gruppo Tessile Monti, che ha grande solidità e continuerà ad essere tra i leader internazionali del settore.
Siete un’azienda verticale e siete in grado di integrare al vostro interno tutte le fasi della produzione. Quanto è importante questa caratteristica, oggi, per essere competitivi?
È sicuramente molto importante, ed è anzi – probabilmente – il punto di forza principale che ci ha permesso anche negli anni più difficili della crisi di settore di rimanere con successo sul mercato. Sul prodotto finito confezionato stiamo crescendo molto, e di recente abbiamo raddoppiato la nostra capacità produttiva in India, creando una nuova camiceria nel Nord-Est del Paese, un nuovo polo industriale che a regime ci consentirà di passare dai 4 milioni e mezzo attuali di camicie di produzione indiana a oltre 8 milioni. L’India per noi è un’area strategica sempre più importante, soprattutto per la produzione di prodotti finiti che si rivolgono a un target relativamente “popolare” e a chi lavora su fasce di prezzo medie, mentre per i clienti di altissima gamma lavoriamo e continueremo a lavorare dall’Italia.
Nel mondo della camiceria quali sono le nuove tendenze e i prodotti più richiesti oggi?
Il mercato oggi chiede sempre più spesso dei tessuti che possano offrire delle performance (stretch o tessuti ad alta traspirabilità, per esempio), ma soprattutto – e più in generale – quello che i brand della moda oggi vogliono è un pretesto per creare uno storytelling, termine che a me non piace ma di cui oggi parlano tutti nel mondo del marketing. Hanno successo dunque i tessuti biologici, c’è un’attenzione crescente per le camicie femminili, vengono richiesti filati particolari come il cupro o certe viscose, e si cerca nella materia prima stessa uno spunto per raccontare e celebrare al meglio il prodotto.
Noi da questo punto di vista abbiamo un grande vantaggio: il nostro centro di ricerca e sviluppo, che è e continuerà ad essere in Italia. Non siamo come le aziende cinesi che fanno solo il servizio e non sono mai propositive; noi siamo un’azienda italiana che pensa e crea dei prodotti e che dialoga per cercare la soluzione migliore con tutte le maggiori griffe dell’alta moda (Chanel, Vuitton, Hermès, Loro Piana, ecc.), clienti ai quali forniamo non solo il prodotto (tessuto o camicia) ma anche una forma importante di consulenza.
Due grandi tendenze tra le aziende del settore tessile sono oggi l’apertura di un canale e-commerce e la crescente attenzione ai temi dell’ecologia e della sostenibilità ambientale. Come vi muovete su questi fronti?
L’e-commerce c’è, ma parliamo al momento soltanto di un e-commerce di tessuti, e non di camicie. C’è comunque anche un canale B2C per la vendita dei tessuti: noi proponiamo il tessuto al pubblico e al tempo stesso consigliamo all’acquirente delle camicerie e degli artigiani della zona che potranno poi confezionargli il prodotto. È un servizio in più che offriamo.
Per quanto riguarda l’ecologia: è un tema sicuramente decisivo ed è un fronte sul quale abbiamo investito molto negli ultimi anni, non solo in Italia ma anche in India, dove stiamo arrivando a riciclare il 100% dell’acqua utilizzata, grazie a un sistema di filtri.
Qual è la sua opinione sulla crisi e sulla situazione attuale del mondo tessile italiano?
Chi dice che il tessile italiano “è uscito dalla crisi” o “sta uscendo dalla crisi” fa sostanzialmente un auspicio, ed è un auspicio che ovviamente condivido. Ma la situazione non è semplice: la concorrenza – specialmente da parte della Cina – è troppo forte, l’offerta supera la domanda e i prezzi si sono abbassati eccessivamente. E soprattutto: la qualità ha sempre meno valore per il mercato. Nei negozi tradizionali c’era chi conosceva il prodotto (in questo caso la camicia) e sapeva consigliare il cliente, il quale a sua volta – nel tempo – imparava a valutare i tessuti e a distinguere tra un prodotto buono e uno non buono. Ma quel mondo praticamente non esiste più, e credo che l’online abbia portato a un scadimento significativo, nel senso che le persone si sono abituate ad acquistare senza nemmeno vedere il prodotto e hanno perso radicalmente la capacità di riconoscere la qualità. Detto questo, resta ancora oggi vero che il mercato italiano è quello in cui la moda parte, è il mercato che per primo fa sentire i nuovi indirizzi e le nuove tendenze: in ambito moda-fashion quello che succede da noi arriva l’anno dopo anche nel resto del mondo, ed è così anche e soprattutto nel settore della camiceria.