Metaverso. Che cos’è e a che punto siamo
Il termine “metaverso” compare per la prima volta nel 1992 nel romanzo di fantascienza “Snow Crash” dello scrittore americano Neal Stephenson.
Hiro, il protagonista del romanzo, è in cerca di una via di fuga da un’opprimente realtà: consegna pizze per la mafia durante l’orario di lavoro, ma è un hacker nel tempo libero. Riesce a scappare dalla sua vita insoddisfacente creando una realtà virtuale dal suo computer, nella quale può accedere attraverso un paio di occhiali e delle cuffie collegati al pc. Questa realtà virtuale viene chiamata “Metaverso”.
Il Metaverso (“meta” all’interno e “verso” abbreviazione di universo) è quindi una sorta di universo parallelo in cui allestire un proprio alter ego; una realtà virtuale condivisa con gli altri utenti della rete.
Se ora navighiamo davanti allo schermo, con il metaverso “entriamo nello schermo”, nella realtà virtuale con il nostro avatar.
Questi concetti sono tornati prepotentemente d’attualità quando Mark Zuckerberg ha annunciato il cambio di rotta e nome di Facebook, intesa come società che possiede, oltre all’omonimo social network, un intero ecosistema di piattaforme: WhatsApp, Instagram e Messenger.
Facebook Inc. è quindi diventata META, e ha dichiarato una mission aziendale più ampia: creare in pochi anni una versione totalmente nuova dell’esperienza web, un metaverso in cui tutti “saremo in grado di teletrasportarci istantaneamente come un ologramma, per essere in ufficio senza doverci spostare, ad un concerto con gli amici o nel soggiorno dei nostri genitori a chiacchierare”.
Per molti osservatori questa mossa di Zuckerberg mira a distrarre l’attenzione dalle critiche mosse sempre più spesso all’impatto sociale di Facebook e Instagram.
Ma il metaverso di Facebook non è né il primo né l’unico esperimento di realtà virtuale parallela.
Nel Giugno 2003, per esempio, venne lanciato – dalla società statunitense Linden Lab – Second Life, una piattaforma in grado di gestire un mondo virtuale elettronico, integrando strumenti di comunicazione sincroni ed asincroni e trovando applicazione in molteplici campi della creatività: intrattenimento, arte, formazione, musica, cinema, giochi di ruolo, architettura, programmazione, impresa, solo per citarne alcuni.
Il videogioco Fortnite – per fare un altro esempio – ha iniziato ad ospitare concerti ed eventi all’interno del gioco, affiancando ai campi di battaglia nuovi spazi in cui i giocatori possono, semplicemente, incontrarsi e passare del tempo passeggiando, assistendo a esibizioni, acquistando beni virtuali.
Nello spazio virtuale di Decentraland gli utenti, dopo aver creato il proprio avatar, possono acquistare e rivendere lotti di terra con pagamenti in criptovaluta. E una società di investimenti USA ha annunciato di aver investito 2,4 miliardi di dollari in lotti di terreno virtuale all’interno del distretto della moda di Decentraland, con l’obbiettivo di ospitarvi sfilate di moda virtuali, e vendere abiti ed accessori digitali agli avatar.
Ma anche Minecraft – che è uno dei videogiochi preferiti dai bimbi tra i 6 e i 10 anni – è impostato sempre di più in termini di metaverso.
Il metaverso muove dunque investimenti sempre più importanti, e in corsa su questo fronte non c’è solo Zuckerberg. Sono particolarmente interessati al metaverso i marchi della moda, i colossi del settore turistico e le società che si occupano della creazione di videogiochi.
L’evoluzione del cyberspazio verso un regno immersivo multidimensionale senza confini, persistente, interoperabile e condiviso, avrà implicazioni su tutti gli aspetti della nostra società, inclusi l’intrattenimento, la pubblicità, l’economia e anche il diritto.
Ma indurre le persone ad immergersi ancora più a fondo in una realtà digitale potrebbe anche prefigurare situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente problematici.
Siamo preparati a questo? Che tipo di metaverso vogliamo creare? Chi può crearlo? Chi stabilirà la governance del metaverso? E fin dove può spingersi il rapporto tra l’uomo e la tecnologia?
L’idea che sia possibile un metaverso aperto, progettato by design per il rispetto dei principi di sicurezza, trasparenza, minimizzazione e legittimità del trattamenti dei dati, a presidio della tutela dei diritti digitali e dei valori fondamentali di dignità, autonomia e libertà, non sembra facilmente conciliabile, al momento, con i piani dell’industria tecnologica, che è impegnata in investimenti febbrili e business plan sofisticati destinati alla governance del mondo virtuale, potenzialmente forieri di asimmetrie di potere, vulnerabilità tecnologiche, costi di esclusione e discriminazioni abusive.
Forse non è troppo tardi per fermarci un momento a riflettere, e capire in che modo coniugare la tecnologia con i valori fondamentali di dignità, autonomia e libertà.