La nascita del personal computer e i suoi sviluppi negli anni ’80 e ’90. Il commento di Hofmann - Datasys Magazine

I pc negli anni ’70, ’80 e ’90. Il commento di Hofmann

ERNESTO HOFMANN – Laureato in fisica, programmatore, manager, consulente, storico dirigente in IBM, azienda per la quale ha lavorato per oltre quarant’anni, Ernesto Hofmann è una delle grandi figure di riferimento della storia dell’informatica.

 

A cura di Luigi Torriani

INTRODUZIONE

Già negli anni Sessanta erano in commercio alcuni progenitori dei personal computer. Il più importante era un prodotto al 100% Made in Italy, il celebre Olivetti Programma 101 (P101), conosciuto anche come “Perottina”, dal nome del capo del team di progettazione – Pier Giorgio Perotto. Creata nel 1962, la P101 ebbe un grande successo per l’epoca (ne furono venduti 44mila esemplari nel mondo), ma non era ancora un pc nel senso stretto del termine, perché non esistevano ancora i microprocessori. La P101 era realizzata con diodi e transistor fissati direttamente sulle basette in bachelite, aveva dimensioni che ne consentivano un utilizzo personale e casalingo ma aveva un prezzo al pubblico di 3200 dollari, cifra che equivale a circa 27mila dollari di oggi. Si tratta di una cifra relativamente bassa se paragonata al costo che i computer avevano all’epoca, ma parliamo comunque di un costo che non è compatibile con una diffusione di massa.  È solo negli anni Settanta che – come detto – grazie all’invenzione del microprocessore si apre la strada che renderà possibile la creazione di personal computer nel senso stretto del termine, ovvero un computer al tempo stesso di piccole dimensioni (si parlava ai tempi di “microcomputer”) e a basso costo, adatto quindi per una diffusione capillare negli uffici e tra la popolazione.

I più importanti pc degli anni Settanta sono:

  • Altair 8880 – È il primo minicomputer con una diffusione di massa, basato sul microprocessore Intel 8080, creato nel 1975 e in vendita a un prezzo di 495 dollari (equivalenti a circa 2.500 dollari di oggi).
  • Ibm 5100 – È il primo pc di Ibm, venduto a partire dal 1975, e in parte sostituito nel 1978 dal nuovo pc Ibm 5110.
  • MD 800 – Realizzato tra il 1975 e il 1976 da due ingegneri dello CSELT (il Centro Studi e Laboratori Telecomunicazioni, istituto di ricerca che aveva sede a Torino), era basato sul microprocessore Intel 8080 e fu commercializzato a partire dal 1977 dalla società italiana DMD Computers.
  • Apple II – In vendita a partire dal 1977, è il pc che segna l’inizio del grande successo della Apple (fondata l’anno prima, nel 1976, da Steve Jobs e Steve Wozniak). Era basato sul microprocessore MOS 6502, era adatto anche per i videogiochi ed era in vendita a partire da 1.195 dollari (equivalenti a circa 5.300 dollari di oggi).
  • Olivetti P6040 – Prodotto a partire dal 1977, era basato sul microprocessore 8080, aveva un floppy disc di piccole dimensioni (2,5 pollici) e un display led, con retroilluminazione.
  • Commodore PET (Commodore CBM) – Creato nel 1977, aveva un prezzo relativamente basso (595 dollari, equivalenti a circa 2.600 dollari di oggi) ed ebbe una rapida diffusione a livello mondiale. L’iniziale sigla PET (Personal Electronic Transactor) fu sostituita poi con CBM (Commodore Business Machones).
  • Atari 400 e 800 – Lanciati sul mercato nel 1978, ebbero un grande successo commerciale, risultando – negli anni 1980 e 1981 – i pc più venduti nel mondo.

Negli anni Ottanta i pc si diffondono capillarmente in tutti gli uffici, rivoluzionando la vita lavorativa in ogni settore, e iniziano ad avere una diffusione importante anche nelle case, per scopi ludici (videogiochi) e in ambito extralavorativo.

I più importanti pc degli anni Ottanta sono:

  • XEROX STAR – Creato nel 1981, è importante perché è il primo computer con hard disk di serie e con interfaccia grafica a icone guidata da mouse.
  • IBM 5150 (PC IBM) – Lanciato sul mercato nel 1981, l’Ibm 5150 (chiamato comunemente “PC IBM”) è il pc professionale per eccellenza degli anni Ottanta, pensato per usi lavorativi. Costava nel 1981 circa 3mila dollari (che equivalgono a 9.500 dollari di oggi), e dominò il mercato dei computer professionali negli anni Ottanta, vendendo già nel primo oltre 200mila pezzi.
  • COMMODORE 64 – È il classico home computer degli anni Ottanta, pensato per un utilizzo casalingo e per scopi ludici. Creato nel 1982 e in commercio fino al 1994, con 17 milioni di unità vendute mantiene ancora oggi il primato di pc più venduto nella storia. Nel 1982 costava 595 dollari, che equivalgono a circa 1.500 dollari di oggi.
  • SINCLAIR ZX SPECTRUM – È l’home computer più venduto nel Regno Unito, ed ebbe un’importante diffusione anche in Italia.
  • APPLE MACINTOSH – Pc che rappresenta il primo grande successo commerciale di Steve Jobs e Steve Wozniack, creato nel 1984, è importante anche perché introduce per la prima volta alcune classiche metafore grafiche (come il cestino o le finestre) che rendono più semplice e accattivante la fruizione da parte degli utenti e che sono diventano in seguito degli standard per i pc.

  • ATARI ST – Computer di grande successo in Europa, è stato in vendita dal 1985 al 1993. È il primo pc con interfaccia MIDI integrata, ovvero con la possibilità, collegando diversi strumenti musicali al pc, di farli “dialogare” tra di loro.
  • COMMODORE AMIGA – Venduto a partire dal 1985, è stato uno dei personal computer più venduti nella seconda metà degli anni Ottanta e nella seconda metà degli anni Novanta. Era utilizzato sia per scopi professionali sia in ambito ludico e ricreativo, ed era molto apprezzato dal punto di vista della qualità dell’audio, della grafica e dell’interfaccia a colori. Vendette oltre 5 milioni di unità.

Negli anni Novanta i pc si diffondono nella gran parte delle case, con un crollo dei prezzi e un’ulteriore miniaturizzazione delle componenti. Inoltre nascono e si diffondono negozi di computer che propongono pc assemblati ad hoc, senza brand.

I computer, sempre più a buon mercato e sempre più piccoli dal punto di vista delle dimensioni, si avviano a diventare un oggetto imprescindibile della vita quotidiana, e con la diffusione di Internet alla fine degli anni Novanta ampliano notevolmente la propria funzione e il proprio ambito di utilità.

Negli anni Novanta il mercato è dominato da IBM, che con i nuovi modelli PS/1 dal 1990 e Aptiva dal 1994 entra con grandissimo successo anche nel mercato degli home computer a prezzi popolari. Ma alla fine degli anni Novanta (nel 1998), la APPLE, con l’iMac G3, esce da un decennio di grave crisi e pone le basi del proprio successivo – stratosferico – successo.

Oggi IBM, che ha dominato il mercato dei pc negli anni Ottanta e Novanta, non si occupa più di personal computer, avendo venduto nel 2005 la propria divisione PC alla multinazionale cinese Lenovo, che è oggi dominatrice del mercato insieme ad Apple e alla statunitense HP.

IL COMMENTO DI ERNESTO HOFMANN

La storia della nascita del Personal Computer, e della sua prodigiosa evoluzione, è certamente una storia affascinante, soprattutto per i continui colpi di scena che si sono avvicendati in uno scenario sempre più fertile di idee e iniziative.

E in un certo senso è stata anche una storia ampiamente prevedibile, dopo che il primo microprocessore era stato immesso sul mercato.

Infatti già nel 1973 furono sviluppati alcuni dei primi kit di microcomputer basati sul chip 8008. Nell’aprile 1974, Intel aveva poi introdotto il microprocessore 8080, che era 10 volte più veloce del precedente chip 8008 e indirizzava 64 KB di memoria. Era questa la svolta tecnologica attesa dalla nascente l’industria dei Personal Computer. E la svolta nacque con la Ed Roberts, una società fondata nel 1969 dallo stesso Ed Roberts, con diversi soci, per produrre e vendere strumenti e trasmettitori per modellini di razzi. Ed Roberts ne divenne poi l’unico proprietario nei primi anni Settanta. La società cambiò allora nome in MITS  (Micro Instrumentation & Telemetry Systems) e iniziò a studiare anche l’evoluzione dei microprocessori. La MITS  fu così in grado di presentare il kit Altair 8800 come storia di copertina nel numero di gennaio 1975 della rivista  Popular Electronics, riscuotendo un enorme interesse. L’Altair era costituito da  un microprocessore 8080, un alimentatore, un pannello frontale con  256 byte di memoria. Era  dotato di un’interfaccia basata su vari interruttori agendo sui quali si poteva programmare in codice binario. Il risultato dell’elaborazione appariva attraverso il lampeggiare di diversi LED  disposti anch’essi sul pannello frontale. L’avvio del sistema avveniva per mezzo di una sequenza di istruzioni introdotte per mezzo di interruttori frontali e la lettura di un nastro magnetico. Il kit stesso era disponibile sul mercato  per 395  dollari dell’epoca, ossia circa 5000 euro attuali,  e doveva essere assemblato a mano per completare le schede dei circuiti. A tutti gli effetti Ed Roberts, recentemente scomparso, può essere considerato il vero padre del Personal Computer. L’Altair includeva un bus di sistema ad architettura aperta, in seguito denominato bus S-100, che divenne uno standard industriale e aveva 100 pin per slot. L’apparizione di un cosiddetto bus di sistema era un’interessante innovazione tecnologica e architetturale. Infatti poiché diversi componenti elettronici non erano ancora disponibili, e poiché le dimensioni della scheda madre non avrebbero nemmeno permesso di alloggiarli, si rese necessario ideare un nuovo e più evoluto sistema di interconnessione tra componenti elettronici differenti che appunto venne denominato “bus”. Questo nuovo elemento architetturale dei microcomputer, ideato soprattutto per il trasferimento dati, divenne in seguito uno standard denominato appunto  S-100. E così divenne possibile spostare parte della logica circuitale dalla scheda madre su altre schede complementari. Si creava la possibilità di creare microcomputer in maniera molto più flessibile e potenzialmente evolutiva.

 

I primi connettori Altair S-100 Bus consistevano in niente più che 2 o 4 connettori (in pratica 2 o 4 strisce di pin disposte su di una base comune) collegati in serie e su cui si potevano attaccare delle schede elettroniche. Era una struttura abbastanza primitiva, ma funzionava bene con la CPU 2MHZ 8080 a bassa velocità utilizzata da sistema. L’architettura aperta del bus S-100 avrebbe anche indicato che chiunque poteva sviluppare schede elettroniche per comunicare col sistema,  assicurando altresì un alto livello di compatibilità incrociata tra schede e sistemi diversi. La popolarità dei microcomputer basati sul processore 8080 finì così con l’invogliare alcune aziende a sviluppare un adeguato software per gli stessi microcomputer,  tra cui nel 1974 il CP/M (ossia il  Control Program for Microprocessor), ossia un vero e proprio sistema operativo per microprocessore, che venne sviluppato dalla Digital Research Inc. di Gary Kildall. Il CP/M si diffuse rapidamente, anche perché venne presto reso compatibile con microcomputer di altre marche, come avvenne per esempio con la Microsoft Softcard prodotta per Apple II (che utilizzava il microprocessore MOS 6502) o la CP/M Cartridge (cartuccia)  per il Commodore 64. La MOS Technology Inc. era nata nel 1969 e presto si era affermata sul mercato dei microprocessori con il suo MOS 6502 venduto a soli 25 dollari. Eppure a fronte della  crescente concorrenza della Motorola dovette fondersi nel 1976 con la Commodore. La cartuccia CP/M del Commodore del 1983 era sostanzialmente un ibrido. Infatti non faceva altro che aggiungere uno Z80 Zilog (compatibile con l’8080) al MOS 6502. Il sistema operativo e le sue applicazioni potevano allora essere eseguiti sulla CPU Z80, mentre occorreva tornare al 6502 per l’accesso a schermo, tastiera e disco.  Una specie di processore duale. E occorre ammirare l’inventiva dei progettisti che non si fermavano di fronte a qualunque ostacolo inventando soluzioni che oggi ci sembrerebbero tecnologicamente barocche, ma che allora funzionavano più che bene. E’ anche molto interessante osservare cha tra le   tante versioni del CP/M, ne nacque una denominata QDOS (Quick and Dirty Operating System), sviluppata da Tim Paterson  per la  SCP (Seattle Computer Products). Da quest’ultima, poco alla volta,  sarebbe nato il DOS per Microsoft e per IBM PC.

E’ una storia molto contorta, che è persino finita in tribunale (anche perché la Digital Research Inc. sosteneva di essere stata defraudata), e noi vogliamo soltanto sintetizzarne gli aspetti tecnologici, evitando di entrare nell’attribuzione dei meriti. Sembra che Paterson iniziasse  a sviluppare il QDOS  all’inizio del 1980 utilizzando  diverse interfacce applicative del CP/M. Il QDOS crebbe rapidamente fino a consistere di oltre 4000 istruzioni in linguaggio macchina.  Alla fine del 1980 la Microsoft acquisì i   diritti per la vendita del sistema operativo, denominato ora 86-DOS,  a diversi costruttori di PC, tra cui IBM, che lo inserì come PC-DOS nel suo nascente Personal Computer, mentre la Microsoft l’avrebbe commercializzato come MS-DOS. La storia si sarebbe ulteriormente complicata, e di  molto, perché nell’ambito dei microcomputer sarebbero apparse ulteriori evoluzioni software che avrebbero impiegato molti anni per consolidarsi. In questa sezione non c’è lo spazio per affrontare alcuni di questi temi che in quegli anni avrebbero monopolizzato l’attenzione non solo degli esperti del settore ma anche dei media. In particolare due scenari sarebbero stati di enorme interesse. Il primo avrebbe riguardato  la nascente contesa tra il sistema operativo di Microsoft e quello che IBM avrebbe invece voluto privilegiare per il suo Personal Computer, ossia il proprio sistema operativo OS/2. E il secondo, anche più significativo, avrebbe riguardato l’interfaccia uomo-PC, ancora rigidamente basata sulla tastiera.

Era alle porte una vera rivoluzione, quella del mouse e delle interfacce grafiche, che oggi utilizzano persino i bambini appena iniziano a trafficare con i tablet.  E fa veramente  tenerezza vedere bambini di un paio di anni mentre  muovono le loro piccole dita sullo schermo alla ricerca di qualcosa che prima o poi apparirà.  E poi, nella loro ingenuità, finiranno per ripetere gli stessi gesti con un libro o una rivista, facendo sorridere chi li osserva.  Eppure in quei gesti c’è qualcosa di così istintivo e naturale da farci riflettere su  quanto grande sia stata la rivoluzione delle interfacce grafiche. Alla fine degli anni Settanta era nato nell’ambito dei microcomputer un altro protagonista che sarebbe diventato con gli anni un vero gigante dell’informatica: la Apple. Apple Computers, Inc. era stata fondata nel 1976 da Steve Jobs e Steve Wozniak, con l’idea di poter disporre di computer di dimensioni così ridotte  da consentire alle persone di utilizzarli a casa o in ufficio.  Il mito narra che Jobs e Wozniak iniziassero a costruire l’Apple I (con microprocessore MOS 6502) nel garage di Jobs, per poi venderlo senza monitor e senza tastiera, mentre era necessario l’accoppiamento con un televisore per vedere le immagini e con un’unità a nastro per registrare i dati. Era apparentemente un tentativo, ma l’azienda sopravvisse tanto da consentire nel 1977 la realizzazione dello Apple II (ancora con un MOS 6502) che avrebbe rappresentato una vera rivoluzione nel mondo dei microcomputer. Per far sì che il microcomputer fosse semplice da usare si decise di utilizzare un contenitore che racchiudesse tutto il sistema elettronico. La scheda madre venne inserita sotto alla tastiera mentre  il corpo centrale del microcomputer aveva lo spazio necessario all’alloggiamento delle schede di espansione. La tastiera venne  inclinata per renderne l’utilizzo più agile e il tutto venne realizzato in plastica invece che in  metallo, il che ne favorì anche un disegno particolarmente elegante, almeno per l’epoca. Le vendite della Apple letteralmente esplosero, passando dai 7,8 milioni di dollari nel 1978 a 117 milioni di dollari nel 1980. Nel 1983 apparve  un nuovo microcomputer della Apple, Lisa,  che presentava per la prima volta  una cosiddetta Graphical User Interface derivata dal progetto Alto della Xerox Corporation. Infatti alla fine del 1979 la Apple era riuscita a far mostrare al  proprio team dei progettisti di Lisa due dimostrazioni dei progetti di ricerca in corso presso Xerox PARC. Quando il team vide la dimostrazione del computer Alto, comprese immediatamente quali fossero gli elementi chiave di un’interfaccia grafica. Lo Xerox Alto introduceva infatti per la prima volta nella storia dell’informatica un’interfaccia utente, denominata WIMP (Window, Icon, Menu and Pointing device ) che oggi viene utilizzata nella maggior parte dei microcomputer. Ma molte altre furono le innovazioni implementate per la prima volta su un computer Xerox, come per esempio la tecnologia Ethernet, che è uno degli elementi  chiave che compongono Internet. Xerox Alto tuttavia non venne però mai commercializzato. Torniamo allora brevemente sull’interfaccia grafica, che avrebbe rivoluzionato l’utilizzo dei microcomputer. La tradizionale interfaccia utente a caratteri, nota anche come “interfaccia utente della riga di comando” o interfaccia utente non grafica, si riferisce all’uso di comandi di testo, gestiti da un interprete della riga di comando, per comunicare con un programma attivo nel computer. In genere gli sviluppatori di software si affidano alle interfacce della riga di comando per configurare le macchine, gestire i file del computer e accedere alle funzioni del programma che altrimenti non sarebbero disponibili su un’interfaccia utente grafica. Per certi versi è un sistema molto rigido e poco intuitivo. Le GUI (interfaccia utente grafica) invece utilizzano metafore molto familiari. Per esempio, per mezzo di un puntatore, che agisce sullo schermo,  si può trascinare verso l’icona di un cestino quanto selezionato, così da potersi  liberare di una foto o di un file, o di altro ancora.  In tal modo nasce  un ambiente nel quale le operazioni diventano intuitive (e per questo attraggono i bambini) e facilmente gestibili, senza una precedente familiarità e senza  conoscenza di particolari linguaggi informatici. Le azioni consentite  dall’interfaccia GUI sono auto descrittive, mentre il risultato  è in genere immediato. Lisa fu  un progetto molto importante per Apple, che avrebbe speso più di 50 milioni di dollari per il suo sviluppo impegnandovi  circa  90 persone, ma venne considerato un fallimento commerciale ancorché un rilevante successo tecnologico. Lisa infatti aveva introdotto una serie di funzionalità molto evolute che non sarebbero riapparse sui Personal Computer per molti anni, tra cui soprattutto  un sistema operativo con memoria protetta. Lisa continuò a essere progettato e modificato ma la sua ultima versione Lisa 2/10 sarebbe apparsa come Macintosh XL, ossia come  il modello più evoluto di questa nuova famiglia di microcomputer. Macintosh (generalmente chiamato solo Mac) è una famiglia di microcomputer della Apple introdotti a partire dal 1984 e dotati attualmente del  sistema operativo macOS. Alla loro apparizione utilizzavano il  microprocessore M68K della Motorola, per poi passare al PowerPC della IBM. Il Mac fu in pratica il primo Personal Computer di largo utilizzo a utilizzare  la GUI  e un mouse invece della tradizionale riga di comando. Va detto che in certo modo servì a rivoluzionare l’industria informatica a metà degli anni Ottanta, e ciò nonostante  a mantenere la sua linea evolutiva di sviluppo coerentemente fino a oggi. C’è da aggiungere  che negli anni Ottanta anche il sistema operativo Windows (OS) della Microsoft iniziò a servirsi di un’interfaccia grafica simile a quella di Apple e questo contribuì certamente alla vasta diffusione di MS Windows, anch’esso ormai molto attraente per gli utenti. Tra l’altro la Apple utilizzava  hardware e software proprietari che non  concedeva in licenza ad altre società:  ciò finiva col favorire MS Windows che poteva contare su di un ampio ventaglio di costruttori di microcomputer. Forse è stato proprio il passaggio della Apple all’utilizzo dei microprocessori Intel x86 a favorirne una progressiva più vasta diffusione. E a questo occorre aggiungere che sempre nel campo dei microcomputer la Apple avrebbe nel XXI secolo introdotto due formidabili dispositivi senza i quali sembra quasi che non si possa più sopravvivere: lo smartphone (per la Apple l’iPhone) e il tablet (per la Apple l’iPad). Questi ultimi due microcomputer, insieme a Internet, hanno creato una vera digitalizzazione di massa con delle conseguenze culturali talmente profonde, soprattutto dal punto di vista sociale,  da non essere state ancora del tutto ben comprese, e certamente molto più ampie di quelle della gloriosa informatica degli eroici  decenni Sessanta-Settanta.

A questo punto è utile anche narrare brevemente l’evoluzione del Personal Computer a opera dell’allora gigante dell’informatica, ossia la IBM. La divisione General Systems di IBM annunciò il computer portatile IBM 5100 nel settembre 1975, dopo solo otto mesi dall’annuncio dello  MITS Altair 8800. Con un peso che poteva arrivare ai 20 kg, il computer desktop 5100 era  altrettanto piccolo e facile da usare quanto una macchina da scrivere IBM Selectric. Il progetto del 5100, che può essere considerato il primo Personal Computer IBM,  aveva avuto origine da un microcomputer  precedente,  il cosiddetto SCAMP (Special Computer APL Machine Portable), di cui vennero costruiti solo alcuni prototipi, ma che non venne mai commercializzato. Eppure venne definito su PC Magazine come “il primo Personal Computer al mondo” e un modello è tuttora  visibile presso lo Smithsonian Institution, a Washington. Lo SCAMP era molto simile a quello che diventerà il 5100, ma era stato progettato per emulare il minicomputer IBM 1130, in modo da potervi eseguire programmi scritti in linguaggio APL/1130. In realtà il 5100   non utilizzava un microprocessore, ma una scheda processore realizzata utilizzando la cosiddetta tecnica gate-array  nella quale vengono costruiti chip prefabbricati ma completati solo parzialmente. Di fatto in un chip gate-array i transistor e le porte logiche,  come per esempio i NAND,  venivano realizzate sul wafer di silicio in posizioni predefinite ma non interconnesse.  Una specifica funzione circuitale richiedeva quindi l’aggiunta di uno o più strati di interconnessioni metalliche per connettere i  dispositivi necessari  per ottenere il chip finale. Il 5100 era dotato di un piccolo monitor da 5” monocromatico che poteva visualizzare 16 righe da 64 caratteri. Con un display così piccolo, era stata aggiunta una modalità di funzionamento per renderlo più leggibile, visualizzando solo i primi o i secondi 32 caratteri, con spazi intermedi fra carattere e carattere. Come memoria di massa il 5100 usava un dispositivo a nastro con cartucce DC300 della 3M che poteva memorizzare 204 kb. Il sistema operativo poteva memorizzare diversi tipi di file, ed in particolare programmi BASIC, workspace APL o file di dati. L’elevato prezzo (a partire da 9000 dollari di allora) ne rese difficile la penetrazione nel mercato tipico degli Altair e  della Apple, confinandolo nei laboratori di ricerca o nelle industrie. Il primo vero Personal Computer di IBM (l’IBM 5150) veniva però annunciato nell’agosto 1981, dopo un lungo periodo di incertezze.

L’IBM aveva creato una task force che aveva sviluppato una proposta per un suo primo Personal Computer, ma le iniziali ricerche avevano concluso che non c’erano abbastanza applicazioni per giustificarne il successo commerciale e la task force dubitava che il progetto stesso potesse essere attuato  rapidamente in IBM. Comunque  un progetto venne avviato e un giovane manager, Don Estridge, si offrì di dirigerlo. Per l’IBM fu un colpo di fortuna perché Estridge dimostrò grande intuito nel rendersi conto che per competere con le aziende che già stavano dominando quel segmento di mercato, come per esempio Apple e Commodore, sarebbe stato necessario fare affidamento anche sull’ hardware e sul software di cosiddette terze parti.

Questo era un enorme cambiamento nella strategia IBM, fin ad allora fondata su di uno sviluppo esclusivamente interno di prodotti hardware e software. Estridge rese anche pubbliche le specifiche del PC IBM, permettendo così una vivace attività delle terze parti nello sfruttare le possibilità di espansione della macchina. Decise inoltre che per rispettare le scadenze ci si doveva rigorosamente attenere al piano industriale. Ciò significava utilizzare una collaudata tecnologia fornita da terze parti; creare un prodotto mono-modello standardizzato; creare un’architettura aperta; e servirsi di canali di vendita esterni per attuare una rapida interazione con i clienti.  Il costo assai competitivo e le opzioni di espandibilità del primo modello, il PC IBM 5150, così come la reputazione stessa dell’IBM, consentirono subito elevati volumi nella vendita sia ai clienti aziendali sia a quelli privati. Estridge venne rapidamente promosso nel 1984 al ruolo di Vice President Manufacturing di IBM, supervisionando (a capo di oltre diecimila persone) la produzione di questa fascia di computer in tutto il mondo  Ma il destino era in agguato ed Estridge, certamente uno dei migliori manager dell’IBM, perse purtroppo la vita (insieme alla moglie) in un disastro aereo nell’estate del 1985. Dall’introduzione, oltre trent’anni fa,  del PC IBM sono avvenuti molti cambiamenti. I microprocessori (seguendo la legge di Moore) sono diventati incredibilmente più potenti. Basti pensare che l’Intel 8088 operava a 4,77 MHz mentre oggi un Intel Core i9-10900K opera a 5.3 GHz, ossia circa mille volte più velocemente. Il PC originale aveva solo una o due unità floppy che memorizzavano 160 KB ciascuna, mentre i sistemi moderni possono avere diversi terabyte (ossia mille miliardi di byte), o anche più, di memoria. I sistemi PC compatibili ebbero un grande successo di mercato  non solo perché l’hardware compatibile poteva essere assemblato facilmente, ma anche perché il sistema operativo più popolare veniva fornito  da una terza parte (ossia Microsoft).  Ciò aveva permesso a molti costruttori di microcomputer di  utilizzare un sistema operativo ampiamente compatibile tra i vari sistemi. Il fatto poi che il DOS avesse di fatto utilizzato la funzionalità sia di CP/M sia di UNIX aveva ampliato di molto il software disponibile. Poco alla volta lo scenario si sarebbe ancor più complicato, come in un ambiente biologico nel quale, a seconda delle opportunità, si evolvono nuove specie ma altre spariscono. Quello dei microcomputer era diventato un vasto ecosistema costituito da innumerevoli dispositivi, sia fissi sia mobili. Persino un telefono cellulare è oggi in grado di eseguire attività che difficilmente avrebbero potuto essere disponibili sui Personal Computer degli anni Ottanta. E inevitabilmente, come in ogni ecosistema, c’è stata una progressiva specializzazione delle specie di maggior successo. È difficile vedere un pesce che nuota, cammina e vola… e così anche per i costruttori di computer non era più possibile tenere i piedi in ogni scarpa tecnologica.

All’inizio del XXI secolo la IBM avrebbe così ceduto alla cinese Lenovo l’intero business, hardware, software e servizi, relativo non solo ai Personal Computer ma anche ai cosiddetti server x86. Era un necessario un riorientamento strategico per l’IBM , che da allora avrebbe  puntato ai servizi, soprattutto via cloud, e a soluzioni di maggior valore come mainframe,  server di fascia alta e anche soluzioni nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale, e in particolare del machine learning. 



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