Intervista ad Alessandro Piana
ALESSANDRO PIANA – Ingegnere milanese, Alessandro Piana si occupa da anni del tema della pena di morte negli Stati Uniti, e ha pubblicato il libro – patrocinato da Amnesty International – “Diario di un condannato a morte”, che racconta (partendo dalle lettere inviate da William alla sorella Lisa) gli ultimi otto anni di vita di William Van Poyck, detenuto nel braccio della morte della Florida, tra il 17 aprile 2005 e il 12 giugno 2013, giorno della sua esecuzione tramite iniezione letale.
Si parla spesso della pena di morte dal punto di vista morale, e in Europa la contrarietà dell’opinione pubblica è consolidata e si guarda con stupore alla sopravvivenza di questa pratica in un Paese occidentale che su molti altri fronti si pone come baluardo della democrazia e dei diritti civili. Se l’aspetto etico della questione deve essere certamente messo in primo piano, nondimeno è interessante approfondire il tema anche da un punto di vista abitualmente ignorato o sottovalutato, quello economico. Ma prima di tutto vorrei chiederti di dare ai lettori del Datasys Magazine un quadro preciso del fenomeno: quante sono le esecuzioni negli Stati Uniti? In quali Stati si pratica ancora oggi la pena capitale e con quali strumenti e metodi di esecuzione? Come si è evoluto il fenomeno negli anni e qual è l’atteggiamento dell’opinione pubblica americana?
L’utilizzo della pena di morte negli Stati Uniti è ancora più sorprendente se consideriamo che sono l’unica nazione libera e totalmente democratica, insieme al Giappone, a mantenere la pena capitale. Nonostante il numero effettivo di esecuzioni sia aumentato di 3 unità rispetto al 2017, arrivando a 23, siamo all’interno di un evidente trend di diminuzione dell’applicazione della pena di morte. In particolare, siamo passati da un picco di 98 esecuzioni nel 1999, a 52 nel 2009, a 23 nel 2017. Nel 2018 possiamo contare già 10 esecuzioni. A livello globale, gli Stati Uniti sono ottavi nella speciale classifica degli Stati ordinati per numero di esecuzioni.
Negli Usa ad oggi un totale di 19 stati ha abolito la pena di morte. Attualmente la pena capitale è mantenuta in 31 stati. Di questi, 11 (California, Colorado, Kansas, Montana, Nebraska, Nevada, New Hampshire, North Carolina, Oregon, Pennsylvania e Wyoming) non eseguono condanne a morte da almeno 10 anni.
Per quanto riguarda le metodologie, l’iniezione letale è in assoluto il metodo più utilizzato e preferito dai vari stati. Alcuni stati prevedono anche metodi alternativi (9 stati prevedono anche l’elettrocuzione, 7 il gas letale, 3 l’impiccagione e 3 la fucilazione), mantenendo però l’iniezione letale come metodo prescelto qualora il condannato decida di non esprimere una preferenza a riguardo.
In generale, si assiste ad una diminuzione dell’importanza e dell’utilizzo della pena di morte, non solamente negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo, fatta eccezione per una piccola schiera di Stati che la utilizza assiduamente (Cina, Corea del Nord, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Pakistan, principalmente). Tutti i dati sono positivi: diminuiscono le esecuzioni, diminuiscono le condanne a morte, diminuiscono le persone detenute nel braccio della morte. Recenti affermazioni del Presidente Trump lasciano però pensare che verrà inasprita l’applicazione della pena capitale, estendendone la richiesta anche ai trafficanti di droga.
A livello di opinione pubblica, recenti sondaggi dimostrano un calo di popolarità della pena di morte negli Stati Uniti. Benché i risultati differiscano da Stato a Stato, a livello federale è evidente il crescente supporto per le alternative alla pena di morte. Una netta maggioranza degli elettori (61%) sceglierebbe una punizione diversa dalla pena di morte per l’omicidio: ergastolo senza possibilità di libertà vigilata e con restituzione alla famiglia della vittima (39%), ergastolo senza possibilità di libertà vigilata (13%), o ergastolo con la possibilità di uscita (9%).
Quanto costa mantenere attivo il sistema della pena di morte per gli Stati Uniti? Quanto grava sulle casse pubbliche degli Stati americani la pena capitale, e quel è il suo impatto economico rispetto a sistemi alternativi come l’ergastolo? Se i costi sono molto elevati, perché (per quali ragioni politiche) il sistema viene mantenuto operativo?
Poiché esistono poche linee guida federali, ogni Stato fa storia a sé: l’analisi dei costi viene dunque portata avanti da gruppi di lavoro indipendenti, spesso legati alle Università e ai centri di ricerca. Il costo della pena di morte è molto elevato per due motivi principali: la necessità di maggiore sicurezza e, soprattutto, la lunghezza dei procedimenti legali (in Arizona, ad esempio, ci sono 17 diversi gradi di giudizio prima di arrivare all’esecuzione).
Mi limiterei dunque a citare alcuni di questi studi indipendenti: in Oklahoma, ad esempio, i casi capitali costano mediamente 3.2 volte di più dei casi che non prevedono la pena capitale (Oklahoma Death Penalty Review Commission, 2017). In Kansas, uno studio del 2014 ha dimostrato che il costo legale medio di un caso di pena di morte è di 400.000$, rispetto ai 100.000$ necessari per un caso che riguarda un ergastolo. Un altro studio ha stimato in 4 miliardi di dollari la spesa complessiva per la pena di morte in California dal 1978 ad oggi, considerando i costi processuali e di incarcerazione. Infine, uno studio del Texas ha calcolato che i costi di una condanna a morte (compresa l’esecuzione) sono pari a mantenere un detenuto in un carcere di massima sicurezza per 120 anni (Dallas Morning News, 2012).
Ci sono vari motivi per cui il meccanismo della pena capitale è ancora attivo e, secondo me, lo sarà per molti anni. Prima di tutto c’è un fattore culturale proprio della nazione statunitense, in cui la circolazione e la diffusione di armi è vista come naturale e, addirittura, incentivata. In secondo luogo, restano molto diffuse le convinzioni che la pena di morte sia deterrente ed economica: convinzioni che vengono sistematicamente smentite dalle statistiche, le quali però spesso non sono conosciute da buona parte dell’opinione pubblica. Infine, c’è un aspetto a mio parere ben più significativo: la pena di morte è un forte argomento elettorale, specialmente negli Stati del Sud come il Texas e la Virginia. Ci sono state elezioni governatoriali recenti in cui l’ago della bilancia per il risultato dell’elezione è stato l’approccio alle esecuzioni e alla pena capitale: in questi Stati un atteggiamento “duro” contro il crimine è valutato molto positivamente e, in ultima analisi, porta voti. Non è un caso se in Florida, ad esempio, gli anni con più esecuzioni siano quelli pre-elettorali.
La pena di morte può costituire anche un business, per esempio per gli avvocati, per i giurati, per tutti coloro che gravitano attorno a processi molto più lunghi e molto più complessi della media, o per le aziende che lavorano con i penitenziari (nel “braccio della morte” sono più stringenti e più onerosi i sistemi di sicurezza, dunque aumentano anche le possibilità di guadagno). Quali sono le figure che maggiormente lucrano sulla pena di morte e qual è il giro d’affari generato dal sistema?
Come già visto nella domanda precedente, le spese legali relative ai casi di pena capitale sono molto elevate; questo è prevedibile, data la presenza di alcuni fattori come i numerosi gradi di giudizio aggiuntivi e la presenza della giuria popolare. Ciò che rende, per certi versi, la pena di morte un “business” è la forte pubblicità che viene data ai casi capitali anche all’interno dei media; un caso di pena di morte è un’opportunità per i giudici di ottenere visibilità e far carriera. A questo si aggiunge il fatto che molti imputati non hanno i soldi per pagare un avvocato e devono affidarsi all’avvocato d’ufficio, che in questi casi viene spesso scelto tra una serie di avvocati “poco disposti” a battersi per l’innocenza o, quantomeno, la riduzione della pena in un ergastolo. Per quanto non sia ovviamente dimostrabile con certezza, sono numerosi i riscontri di processi di casi capitali in cui l’avvocato difensore si addormenta in aula o, semplicemente, non risponde alle accuse mosse contro l’imputato. Con questo meccanismo, tali avvocati d’ufficio si garantiscono la possibilità di essere richiamati in altri casi capitali, guadagnando sulle spese legali, e i giudici ottengono la visibilità desiderata. Mi rendo conto che questa può sembrare un’affermazione forte e non giustificata, ma l’applicazione della pena di morte è fortemente influenzata da bias, e tutte le statistiche portano in questa direzione.
Un altro aspetto evidente, anche se non necessariamente legato alla pena di morte, è la privatizzazione del sistema penitenziario statunitense. Esistono casi come quello della cittadina di Hardin, in Montana, che nel 2009 ha inaugurato un centro di massima sicurezza e il cui sindaco ha più volte richiesto che venissero inviati “più prigionieri” per poter dare lavoro alle persone del posto.
Parlando di cifre, il sistema penitenziario statunitense costa complessivamente 80 miliardi di dollari all’anno, pari a circa 260 dollari per cittadino americano: pur avendo il 5% della popolazione mondiale, gli Stati Uniti possiedono il 25% dei detenuti. In generale, un cittadino su 31 ha avuto a che fare con la giustizia.
Che peso hanno nei processi l’etnia e la disponibilità economica dell’imputato? Un nero senza soldi ha più probabilità di essere condannato a morte rispetto a un bianco ricco?
Una delle motivazioni più importanti su cui si basa la lotta contro la pena di morte è la forte arbitrarietà della sua applicazione. Anche in questo caso, come per l’analisi dei costi, sono presenti molti studi indipendenti. Uno studio dell’università di Washington ha dimostrato che nonostante l’etnia delle vittime sia equamente distribuita (50% di bianchi e 50% di afroamericani, asiatici o latinoamericani), la possibilità che venga richiesta la pena di morte è tre volte più frequente nel caso in cui la vittima sia bianca. Le statistiche sono analoghe in Louisiana (una probabilità quasi doppia nel caso in cui la vittima sia bianca), in California (quattro volte più probabile) e in North Carolina (3.5 volte). In caso di “omicidi misti” (omicida bianco e vittima di colore, o viceversa), la distribuzione di condanne a morte è fortemente squilibrata (20 esecuzioni nel caso di omicida bianco e vittima di colore, 288 esecuzioni nel caso opposto).
Questi dati, uniti agli altri di cui abbiamo parlato in precedenza, forniscono un quadro poco confortante dell’applicazione della pena capitale negli Stati Uniti. Al di là di come la si pensa rispetto al tema, risulta sorprendente credere che in una nazione come gli Stati Uniti possano esistere ancora forme di ingiustizia così evidenti.