Psicologia nelle aziende

Psicologia nelle aziende, parla Massimo Picozzi

Intervista a Massimo Picozzi– Psichiatra e criminologo

A cura di Luigi Torriani

Psicologia nelle aziendeMASSIMO PICOZZI – Psichiatra e criminologo, è docente universitario, noto volto televisivo e autore di ventisei libri per i più importanti editori italiani.

Imprenditori e manager tendono spesso a trascurare l’importanza dell’elemento psicologico nel successo di un’azienda. Qual è l’atteggiamento giusto che un imprenditore o un dirigente dovrebbe avere con dipendenti e collaboratori, e quali sono gli errori psicologici più frequenti?

Sono molti gli aspetti a mio avviso trascurati nel mondo del lavoro; e la gran parte riguardano non tanto le conoscenze tecniche, ma le cosiddette soft skills, quelle competenze trasversali che riguardano le relazioni, le abilità di comunicazione, il riconoscimento delle emozioni, le capacità di far gruppo.

Poco spazio viene dato alle emozioni, al loro valore nelle dinamiche di gruppo.

Sul posto di lavoro passiamo la gran parte della nostra vita attiva, e ancora non abbiamo capito come la maleducazione, l’assenza di rispetto, il mancato riconoscimento possano avvelenare il clima, e condizionare prestazioni al di sotto della media.

 

All’interno di un’azienda non sempre è facile gestire le emozioni e i conflitti, e molte persone sono degli ottimi professionisti dal punto di vista tecnico ma sul piano psicologico faticano a rapportarsi nel modo migliore con gli altri. Qual è il modo giusto di comportarsi tra colleghi e quali sono le cose da evitare?

Il primo errore da evitare, è quello di banalizzare alcuni comportamenti, che in realtà rappresentano piccoli ma importanti campanelli d’allarme. Eccone un elenco esemplificativo, che non è semplice riconoscere in sé e negli altri. Parte perché vengono sottovalutati come qualcosa di normale, parte perché la maggior parte della rabbia al lavoro viene scaricata in modo passivo e non-violento.

Come mostrato da questi esempi:

  • Evitare di passare una telefonata a qualcuno con cui dovresti parlare
  • Non riportare un problema e permettere che peggiori
  • Ignorare qualcuno sul lavoro
  • Intenzionalmente arrivare tardi alle riunioni
  • Lasciare il posto in anticipo
  • Volontariamente non fare ciò che viene richiesto o per il quale si è stati preparati
  • Rifiutarsi di accettare un compito
  • Rifiutarsi di aiutare un collega
  • Darsi malato
  • Apparire super-impegnati quando non lo si è
  • Nascondere informazioni necessarie a un collega
  • Rallentare al lavoro quando è necessario accelerare

 

Negli ultimi anni si è diffusa una crescente attenzione per l’alimentazione e per altri elementi empirici legati alla salute fisica della persona, ma si sottovaluta spesso l’importanza della salute psicologica. Quali sono le strade corrette per fronteggiare lo stress causato dalla vita lavorativa e per riuscire a vivere bene?

Mi piace rispondere citando le dieci regole per gestire la rabbia secondo la prestigiosa Mayo Clinic:

1: prenditi una pausa – Contare fino a dieci non è soltanto una cosa per bambini. Prima di reagire a una situazione di tensione, prenditi alcuni minuti per respirare profondamente e contare fino a dieci. Se necessario, allontanati per qualche momento dalla persona o dalla situazione che ti ha innescato la rabbia.

2: una volta che ti sei calmato, manifesta le ragioni della tua rabbia – Appena sei in grado di pensare lucidamente, esprimi i motivi della tua frustrazione in modo assertivo e non polemico. Esprimi preoccupazioni e bisogni in modo chiaro e diretto, senza offendere né tentare di controllare.

3: ricorri all’esercizio fisico – L’attività fisica può rappresentare uno scarico per le emozioni, soprattutto se sei sul punto di scoppiare. Se ti accorgi che la tua rabbia sta crescendo, fai una veloce passeggiata, una corsa, o qualunque attività tu preferisca. L’esercizio fisico stimola la produzione di sostanze chimiche a livello cerebrale, sostanze che ti faranno sentire più felice e rilassato di quanto eri in precedenza.

4: pensa, prima di parlare – nella concitazione del momento, è facile dire cose di cui più tardi ti potresti pentire. Raccogli allora i tuoi pensieri prima di pronunciare parola, e permetti agli altri di fare lo stesso.

5: identifica le possibili soluzioni – Piuttosto che fissarti su ciò che ti fa impazzire, lavora per risolvere il problema. La tua fidanzata arriva tardi per cena ogni sera ? Sposta l’orario in cui ci si mette a tavola, oppure accetta l’idea di mangiare da solo qualche volta alla settimana. Ricordati che la rabbia non aggiusta nulla, piuttosto rende  le cose più difficili.

6: sostieni le tue ragioni aprendo le frasi con: “Io” – Per evitare le critiche eccessive, come pure il rischio di attribuire ad altri la colpa (il che aumenterebbe la tensione) declina ogni frase in prima persona; ad esempio “ sono seccato che tu ti sia alzato da tavola senza offrirti di dar una mano con i piatti”, e non “Tu non fai mai niente per mettere ordine in casa”.

7: non portare rancore – Dimenticare è uno strumento potente. Se permetti alla rabbia o ad altre emozioni negative di mettere da parte la tua positività, verrai inghiottito dalla tua stessa amarezza e dal senso di ingiustizia. Ma se dimentichi di qualcuno che ti ha fatto arrabbiare, allora entrambi potrete imparare qualcosa dalla situazione. È irrealistico aspettarsi che ognuno si comporti sempre come tu vuoi.

8: usa l’umorismo per dar sollievo alla tensione – Ma non il sarcasmo, che può ferire i sentimenti di qualcuno e peggiorare le cose.

9: pratica gli esercizi di rilassamento- Quando stai per esplodere, ricorri alle pratiche di rilassamento, siano esercizi di respirazione, la visualizzazione di immagini rasserenanti, una parola o una frase calmante ripetuta più volte.

10: sappi quando chiedere aiuto – Imparare a controllare la rabbia è una sfida per chiunque. Se c’è il rischio che l’andare in collera possa produrti gravi problemi, e non ce la fai da solo, considera la possibilità di consultare uno specialista o aderire a un programma di anger management.

 

Cercando sul web si trovano innumerevoli liste e decaloghi con consigli per affrontare al meglio un colloquio di lavoro, ma sono spesso pareri “a buon mercato” di non addetti ai lavori. Quali sono secondo lei gli errori più frequenti dei candidati e quali sono invece gli atteggiamenti psicologici corretti che possono aumentare le possibilità di essere assunti?

Impossibile presentare le tecniche della comunicazione “seduttiva” in poche battute. Quel che è certo è che oggi, ben più di un tempo, contano le doti di flessibilità e adattamento, piuttosto che il voto di laurea. Un esempio personale: nel colloquio che mia figlia ha dovuto sostenere per essere ammessa alla specialità in neonatologia a New York, a lei che risiedeva negli USA già da anni, ha avuto gran peso l’aver servito alla mensa dei poveri di Brooklyn, tanto quanto il voto in pediatria

 

La crisi economica e il frangente molto difficile che sta attraversando il nostro Paese hanno certamente impoverito gli italiani dal punto di vista patrimoniale e del potere d’acquisto. Quanto li hanno impoveriti invece sul piano della solidità psicologica? Guardando la crisi dal punto di vista delle problematiche mentali e delle nevrosi quale impatto possiamo osservare?

Non c’è dubbio: la novità degli ultimi tempi è che fatichiamo sempre di più a controllarci, a gestire il risentimento e la frustrazione; piuttosto li esprimiamo attraverso performance ridotte, minacce e molestie, atti di sabotaggio, aggressioni verbali e fisiche; con inevitabili ricadute sul clima emotivo, sulla produttività e sul bilancio dell’azienda, in un circolo vizioso e distruttivo.

Di fatto, l’estensione del problema è così preoccupante, che per evitare l’imbarazzo e il danno di una cattiva immagine, spesso accade che gli episodi critici non siano nemmeno segnalati.

Naturalmente la vicenda è complessa, ed è impossibile identificare una sola ragione che ne spieghi l’origine, ma certo la crisi economica gioca un ruolo decisivo; ridimensionamenti, ristrutturazioni, cambiamenti radicali nel mondo del lavoro, trascinano inevitabilmente mortificazione, paura e rabbia.

La tanto invocata capacità di accettare e vivere la flessibilità, implica una grande capacità di adattamento, che a sua volta poggia sulla sicurezza di sé e l’autostima, merci rare di questi tempi.

Chi rischia di perdere il posto, sa poi molto bene quanto sia difficile trovare una nuova sistemazione, simile per mansioni, soddisfazione e compensi. Le statistiche dicono, infatti, che l’80 per cento dei lavoratori ci riusciva negli anni ‘60 e ‘70; la percentuale è scesa al 50 per cento nei primi anni ‘80, al 25 per cento agli inizi degli anni ‘90, per arrivare al 10 per cento alla fine del secolo scorso, e peggiorare ancora nel terzo millennio.

Se il messaggio che passa è che ognuno rischia di essere sfruttato e poi accantonato, ne deriva un senso di alienazione, la perdita di qualunque forma di attaccamento e fedeltà all’azienda. 

È uno dei moderni paradossi: si ama il proprio lavoro, mentre si finisce per odiare la struttura, le regole e l’ambiente dove lo si svolge ogni giorno.

Poi, accanto ai mutamenti macro e micro-sociali, c’è sempre il fattore umano.

Non sono pochi i casi in cui un dipendente con difficoltà emotive e scarsa stima di sé, guarda al posto di lavoro come al supporto emozionale di cui ha bisogno. La percezione di non essere compreso e apprezzato, dolorosa per tutti noi, può avere effetti devastanti su chi vive il lavoro come l’unica cosa importante della propria vita; proprio com’è successo a Patrick Sherrill, l’autore della strage di Edmonton.

Certo il problema non è solo l’irritazione o la rabbia, piuttosto il modo in cui le emozioni sono vissute e agite.

Molti riescono a gestirle, altri non ce la fanno; può dipendere da uno sfortunato assetto genetico, o dalla storia familiare e personale; anche lo stile di pensiero influenza la predisposizione alla rabbia: dare per scontate le cose positive, enfatizzare le negative, essere eccessivamente perfezionisti, sono tutte condizioni che possono innescare sentimenti di rabbia; così come le convinzioni personali sui concetti di giustizia ed equità.



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