“Artigianato”, questo oggetto del desiderio…delle grandi imprese industriali

“Artigianato”, questo oggetto del desiderio…delle grandi imprese industriali

Articolo di Ida Laura Cappiello - giornalista

Chiunque guardi la tv anche di sfuggita ricorderà il claim “Artigiani della qualità” di Poltronesofà, la massiva campagna pubblicitaria andata in onda su piccolo schermo negli ultimi anni. Solo i più attenti, invece – come accade sempre per le smentite – avranno notato la sparizione del suddetto claim dagli spot pubblicitari, a partire dalla scorsa estate (il nuovo claim è “autentica qualità”). Come mai? Probabilmente  la causa è un disegno di legge presentato a febbraio 2019 in Senato da un parlamentare della Lega, Massimiliano Romeo, su sollecitazione della CLAAI, la Confederazione Libere Associazioni Artigiane Italiane, una delle principali sigle sindacali della categoria. 

La proposta di legge e il caso Poltronesofà

Il disegno di legge, sottoscritto da altri 50 parlamentari, si propone di inserire all’interno della legge quadro sull’artigianato, la 443 del 1985, regole più precise e restrittive quanto all’uso nei nomi dei prodotti, nei marchi aziendali e nelle pubblicità commerciali della parola “artigiano”. La proposta non è stata ancora messa nell’agenda parlamentare, probabilmente a causa dei rivolgimenti politici avvenuti negli ultimi mesi, ma evidentemente ha già avuto un effetto di moral suasion nei confronti di Poltronesofà. Tra l’altro, già nel 2016 la grande azienda di arredo era stata censurata dal Giurì di autodisciplina pubblicitaria, per lo stesso motivo.

Pochi i casi censurati finora

L’ambito titolo di “artigiano” è ricercato, e considerato premiante, nei settori ad alto contenuto di design: oltre all’arredo, la moda, specie maschile. Un settore a parte è l’alimentare, dove fa premio il richiamo all’artigianato in quanto depositario di tradizioni che richiamano concetti come la genuinità e la naturalità. Pochi casi, finora, sono finiti nel mirino delle autorità di controllo. Recentissimo è il caso delle Croccole Findus, forse il più sorprendente perché il termine “artigianale” è associato a un brand universalmente riconosciuto come di alta qualità, ma indubbiamente industriale e per di più multinazionale.

Nel 2015 l’Antitrust ha censurato le patatine Pata, vantate come artigianali soprattutto sulla confezione dei prodotti. Nel campo della moda, meno recente è la vertenza relativa al prestigiosissimo marchio Louis Vuitton, per i portafogli e altri articoli in pelle, segnalata di nuovo all’Antitrust, ma alla fine assolta. 

Il punto di vista della categoria: Marco Accornero, Confederazione Libere Associazioni Artigiane Italiane

Marco Accornero, segretario generale di CLAAI e dell’Unione artigiani della provincia di Milano, spiega perché la legge attuale non dà tutela sufficiente  ai prodotti artigianali. “L’immagine dell’artigiano fa spesso premio nella comunicazione, perché  viene associata dal pubblico a una qualità superiore, a un’attenta, quasi amorevole cura nel realizzare il prodotto, a una grande passione per quello che si fa. L’unico caso in cui l’espressione è usata in senso deteriore sono le bombe…”.  La maggior parte dei casi in cui l’artigianalità è vantata ma non reale passa inosservata, perché il messaggio non è inserito in una campagna pubblicitaria di grande richiamo, ma compare ad esempio sulle confezioni dei prodotti: non per questo però è meno influente, anzi potrebbe raggiungere anche più consumatori, quando parliamo di prodotti distribuiti capillarmente in tutta Italia. “La normativa attuale non dà strumenti adeguati a contrastare questo fenomeno, che danneggia gli artigiani veri. Ecco perché abbiamo deciso di scendere in campo, sensibilizzando la politica nazionale” prosegue Accornero. “Anche se la legge oggi in vigore vieta chiaramente l’uso di questi termini da parte di imprese non artigiane, recitando ‘nessuna impresa può adottare, come ditta, insegna o marchio, una denominazione nella quale ricorrano riferimenti all’artigianato, se essa non è iscritta all’albo’. E le imprese artigiane sono definite con chiarezza: senza entrare in dettagli troppo tecnici, il titolare deve lavorare presso la propria azienda, i dipendenti non possono superare i 18, una rilevante parte del lavoro dev’essere fatta a mano, anche se è ammesso l’uso di macchinari per la produzione in serie”. In altri termini, il punto qualificante è proprio il ruolo centrale dell’artigiano, che lavora con le proprie mani in azienda, produce pezzi non standardizzati ma diversi uno dall’altro, e trasmette il suo knowhow a dipendenti e apprendisti. Tutti gli artigiani, quando aprono la partita IVA, devono iscriversi al registro delle imprese artigiane presso la Camera di Commercio competente. Non ci può essere equivoco. 

Le modifiche più importanti nella proposta di legge

Dunque sulla carta il concetto di “artigiano” ha una tutela più forte di altre espressioni usate spesso in modo improprio, come  “tradizionale”, “naturale”, “rustico” e così via. 

Ma questo non basta, perché la legge attuale ha delegato le Regioni a stabilire sanzioni, solo amministrative, e fissate a livelli irrisori, che non fanno da deterrente in confronto al vantaggio commerciale che può derivare dall’immagine artigianale attribuita a un prodotto che non lo é.  Inoltre, è la polizia locale a irrogare le sanzioni, e solo su segnalazione (non d’ufficio). Di fatto non risulta che siano mai state applicate” conclude Accornero. 

La proposta di legge introduce sanzioni più pesanti,  fino all’ 1% del fatturato, e inoltre prevede che possa intervenire l’Antitrust, mentre ora può intervenire solo in caso di pubblicità ingannevole ma non, ad esempio, nel caso di messaggi scritti sulle confezioni dei prodotti – che sono poi i casi più frequenti. L’Authority, essendo un magistrato, potrebbe procedere anche d’ufficio (non solo su segnalazione) e eventuali condanne avrebbero una visibilità mediatica molto maggiore di quella attuale.  

Perché l’artigianalità affascina? Parla un creativo: Emanuele Nenna, presidente di UNA,  Associazione delle aziende di Comunicazione Unite

Perché l’artigianalità ha tanto valore in una società che in fondo basa il proprio benessere economico proprio sulla produzione industriale? Come è possibile che i consumatori, ancora oggi, possano credere che davvero un prodotto di prezzo molto competitivo, o venduto in grande distribuzione, sia artigianale nel senso stretto del termine? Prova a rispondere Emanuele Nenna, presidente di UNA, Associazione delle aziende di Comunicazione Unite.

Non sono un sociologo, ma posso immaginare che l’artigianalità, come la tradizione, oggi siano una sorta di mito, ci ricordino un mondo più rassicurante, nel quale alcuni valori erano ben definiti e accettati da tutti, mentre la società di oggi vive nell’incertezza, è liquida”. Non è vero ma ci credo, in altre parole.

Tengo a ricordare che UNA è sensibilissima alla verità nei messaggi pubblicitari, infatti siamo soci fondatori dell’Istituto di Autodisciplina” prosegue Nenna. “La tendenza più recente della comunicazione, oltretutto, va proprio in questa  direzione: la sincerità sta diventando fondamentale per le aziende. In passato si parlava di posizionamento, oggi si parla di posizione: le aziende si schierano, difendono dei valori. E devono mantenere le promesse, le prese di posizione devono essere reali, non millantate. Quindi, giusto difendere la verità dei messaggi”. Anche perché oggi il pubblico è in grado di farsi sentire molto più che in passato, con l’enorme potere della Rete.

Gli artigiani in Italia: dati (minibox)

Fonte: Unione Artigiani Milano e Monza-Brianza

Numeri 2 trimestre 2019

Imprese artigiane: 1.289.000 (circa un quarto delle imprese totali)

Totale imprese: 5.142.947

Imprese artigiane in Lombardia: 242.964 (quasi il 20% delle imprese artigiane totali)

Imprese artigiane iscritte alle associazioni di categoria: circa il 20%

Principali sigle associative (in ordine alfabetico): CLAAI, CNA, CONFARTIGIANATO



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