C-Trade. Le strategie doganali per le aziende

C-Trade. Le strategie doganali per le aziende

Intervista a Lucia Iannuzzi e Paolo Massari – Fondatori C-Trade Srl

A cura di Luigi Torriani

C-TRADE SRLFondata nel 2015 da Paolo Massari e Lucia Iannuzzi, C-Trade ha sedi a Genova e a Segrate (Milano) ed è oggi un’importante società di consulenza e pianificazione doganale a 360 gradi per le aziende.

In un contesto fortemente globalizzato come quello attuale le aziende italiane maggiormente competitive lavorano sempre di più sul fronte dell’export (oltre che dell’import), trovandosi in questo modo di fronte a delle grandi opportunità di business ma anche a complessi sistemi di norme che regolano i flussi di merci tra i vari Paesi. Quali sono i servizi che C-Trade offre alle aziende per elaborare una strategia doganale ottimale?

La globalizzazione dei mercati, la delocalizzazione delle attività produttive, la saturazione e la minore recettività del mercato nazionale, la necessità di riduzione dei costi che la crisi economica ha imposto a tutti gli operatori commerciali, hanno spinto anche le piccole e medie imprese, fino ad allora essenzialmente “domestiche”, a rivolgersi ai mercati esteri.

La dogana, quindi, diviene un momento spesso fondamentale nella catena di approvvigionamento di beni non solo delle grandi aziende multinazionali.

Diversi i soggetti, diversi i bisogni.

C-Trade nasce dall’osservazione del mercato, diviso tra bravi spedizionieri doganali, cui le aziende spesso delegavano completamente la loro attività internazionale, e bravi professionisti, avvocati o commercialisti, cui le aziende si rivolgono in presenza di controversie con l’autorità doganale. Nessun vero consulente doganale, partner dell’azienda, che sia in grado di sposare competenza operativa, interpretazione normativa e capacità gestionale, e che sia in grado di guidare l’azienda nei pericoli del business internazionale, ponendosi come unico soggetto di riferimento per le esigenze operative, consulenziali e processuali. C-Trade si pone l’ambizioso obiettivo di colmare questo vuoto. È un business service provider che offre ai propri clienti un servizio innovativo, unico nel suo genere nell’oggetto e nelle modalità di erogazione, fondato sull’idea di “ownership del processo doganale”: un singolo help desk, dalla consulenza e pareristica alla gestione delle attività operative, consapevole che una vera revisione del processo “customs & logistics” presuppone nuovi e adeguati processi aziendali. Analisi e revisione dei flussi doganali, analisi e revisione dei correlati flussi aziendali (logistici, informatici, di fatturazione); C-Trade delinea la migliore strategia per minimizzare i rischi dell’international business: un vero international business navigator.

I vantaggi per il cliente? Focalizzarsi esclusivamente sul proprio core business, un processo doganale maggiormente integrato nei processi aziendali, saving economico, di tempo e di risorse.

 

Si parla molto in questi mesi di protezionismo e di dazi doganali, un tema che il Presidente Usa Donald Trump sta riportando al centro dei dibattiti. Considerando anche il referendum sulla Brexit del 2016 e il successo politico – in diversi Paesi – di movimenti e partiti politici con posizioni anti-Ue e anti-global, quale potrebbe essere l’evoluzione su questo fronte nei prossimi anni e quale impatto potrebbe esserci sulle aziende italiane? Stiamo tornando a un mondo con dogane “pesanti”?

La crisi economica, se da un lato ha smantellato i confini, obbligando le aziende a conquistare mercati lontani e sconosciuti per sopperire all’asfissia dei mercati domestici, dall’altro ha ridato voce a istanze protezionistiche mai completamente spente.

 

La paura della povertà, propria e altrui, conduce all’isolamento; la chimera dell’autonomia e dell’autarchia quali panacee ai mali del mercato vanta radici storiche profonde e sconfitte brucianti.

Ma politiche multilateralistiche avventate spesso la rianimano; l’onda emotiva di insoddisfazione e rifiuto del vivere comune travolge anche lucide e obiettive analisi economiche: Brexit docet, i costi che i suddetti di Sua Maestà dovranno sopportare nel breve periodo potrebbero annullare i presunti vantaggi dell’uscita dalla UE.

Quando la paura cresce, fare politica “contro” è molto più semplice che fare politica “insieme”, il consenso popolare è quasi scontato; ma nel lungo periodo distruggere senza creare non aiuta nessuno.

Nell’ultimo decennio molti Paesi hanno adottato misure protezionistiche; anche la UE, da anni, stabilisce dazi supplementari sulle importazioni di prodotti USA e nemmeno l’amministrazione Obama era stata in grado di fermare queste “scaramucce”.

La realtà è che i mercati hanno bisogno di oceani sconfinati e cieli aperti, dove far viaggiare beni e servizi; il commercio internazionale odia gli spazi chiusi.

Nessun giudizio etico sui vantaggi o sui mali della globalizzazione, solo un’osservazione dei traffici: le merci continuano a spostarsi e, con ogni probabilità, continueranno anche in futuro.

La dogana cambia come e quanto velocemente si modificano le abitudini e i comportamenti che regolano le transazioni commerciali internazionali; il nuovo Codice doganale dell’Unione vede la dogana quale partner degli operatori economici, non più arbitro super partes, ma soggetto inserito nella catena di approvvigionamento come tutore della regolarità e della trasparenza dei traffici.

Semplificazione, telematizzazione, partnership: questi i tre elementi che dovrebbero governare i rapporti tra dogana e operatori economici; non una dogana pesante, quindi, ma una dogana “complice”.

Almeno, nella UE.

Certo, non è semplice declinare questi concetti in Italia, dove per l’amministrazione finanziaria, ancora oggi, ogni contribuente è un potenziale evasore e, per i contribuenti, l’amministrazione pubblica è un fastidioso peso.

 

Quali sono oggi le dogane italiane più importanti? E quali sono le differenze tra dogane situate presso porti e aeroporti (per esempio il porto di Genova), dogane che segnano un confine di Stato (come quelle tra Italia e Svizzera) e dogane interne (come quelle di Milano)?

L’importanza delle dogane non discende dalla loro posizione, ma dal variare delle correnti di traffico.

Si è sempre pensato che le dogane portuali e aeroportuali fossero di gran lunga le più importanti; ed era vero, quando la gran parte delle operazioni di importazione ed esportazione venivano espletate con la merce negli spazi doganali, in procedura ordinaria.

Ma le abitudini delle aziende cambiano, spinte dalla volontà e spesso dalla necessità: disponibilità immediata della merce, sdoganamento just in time, riduzione del magazzino e delle scorte ai minimi termini, esigenze di assoluta celerità: tutti concetti inconciliabili con lo sdoganamento in porto e, in parte, anche in aeroporto, dove i ritardi, dovuti a molteplici fattori, sono all’ordine del giorno.

Troppe soste, troppo tempo, troppi costi; la merce si porta via dagli spazi doganali e si sdogana a magazzino, nei luoghi approvati dall’autorità doganale, ogni azienda diventa una piccola dogana. E il legislatore unionale incentiva questa politica, con semplificazioni (in parte in Italia non ancora attuate) tutte pro operatori, mentre l’amministrazione doganale vara fast corridors, pre-clearing, sportello unico proprio per garantire velocità negli sdoganamenti.

Poiché nel nostro Paese le realtà industriali più importanti sono in zone interne, le dogane interne hanno acquistato maggiore importanza.

I valichi di frontiera, ormai, sono ridotti alla sola Svizzera.

 

Si trovano spesso su siti e giornali notizie relative a sequestri o “maxisequestri” di merce irregolare in una dogana. Come avvengono in genere queste operazioni? Sono il frutto casuale di controlli di routine, ci sono dei criteri precisi che permettono con buone percentuali di successo di fermare le persone “giuste”, oppure ci sono delle “soffiate” che consentono di andare a colpo sicuro?

Occorre una distinzione.

I controlli doganali di natura “tributaria” sono frutto di una gestione del rischio centralizzata; un’analisi dei rischi centralizzata, svincolata da pericoli di discrezionalità locale, basata su criteri oggettivi (la tipologia di merce) e soggettivi (i precedenti del soggetto importatore o esportatore), genera dei parametri di rischio, che determinano l’assoggettamento o meno delle dichiarazioni doganali a controllo.

Esistono, poi, dei controlli di natura “extra-tributaria”, svolti, per lo più, dalle unità antifrode, che si fondano su un’analisi dei rischi parallela a quella appena descritta, manuale e non automatica, che trova maggiori possibilità di successo nella conoscenza dei traffici, nell’esperienza delle persone (più che nell’obiettività delle macchine), e nella collaborazione con le altre autorità pubbliche di sicurezza, dalla Guardia di Finanza alla Polizia di frontiera, ai Carabinieri, anche nell’ambito di indagini delegate dall’autorità giudiziaria.

Sovente sono proprio i risultati di questi ultimi controlli (antidroga, antiterrorismo, sulla sicurezza dei prodotti) a trovare maggiore eco sui media e maggiore attenzione da parte dell’opinione pubblica, essendo diretti alla tutela dei cittadini; mentre i primi sono sotto la lente d’ingrandimento dei servizi comunitari (OLAF, Commissione e Corte dei conti), sempre pronti ad intervenire a tutela dell’Erario comunitario.



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