Cashmere sostenibile IGP. La Joint Venture Como – Mongolia

Cashmere sostenibile IGP. La Joint Venture Como – Mongolia

Intervista a Francesco Saldarini

FRANCESCO SALDARINI – Imprenditore tessile italiano di Como alla quinta generazione, inventore dell’imbottitura brevettata “Cashmere Flakes”, Francesco Saldarini è socio di MNFPUGs Sustainable Cashmere S.r.l., società nata del giugno del 2022 grazie a una joint venture tra la famiglia Saldarini e il Sindacato Mongolian National Federation of Pasture User Groups of herders.

 

Il progetto “Sustainable Cashmere of Mongolia”, che a gennaio 2023 ha ricevuto dall’Unione Europea il via libera per il procedimento di concessione della certificazione IGP, nasce da un accordo che avete sottoscritto con il sindacato degli allevatori della Mongolia, che rappresenta 93mila nuclei familiari e oltre 1.750 cooperative di allevatori, pari al 70% dei pastori mongoli. Obbiettivo di questo progetto innovativo è di creare un contatto diretto – saltando l’intermediazione dei traders cinesi – tra i brand europei della moda e del lusso e i produttori di cashmere della Mongolia. Quali sono in concreto i vantaggi per le aziende europee da una parte e per gli allevatori della Mongolia dall’altra?

Il modello di business che proponiamo è win-win.

Per quanto riguarda gli allevatori mongoli i vantaggi riguardano sia l’aspetto immediatamente economico sia l’aspetto della sostenibilità ambientale e sociale. Il progetto “Sustainable Cashmere of Mongolia” – che incrementa del 15% circa il guadagno dei produttori rispetto al modello attuale – consente infatti agli allevatori di vendere direttamente in Europa saltando la costosa mediazione dei traders cinesi, e al tempo stesso mette in atto in Mongolia diversi interventi con finalità sociali e ambientali, introducendo sistemi più efficienti di rotazione dei pascoli e minimizzando l’impatto negativo del cambiamento climatico.

Per quanto riguarda invece le aziende europee del settore tessile-moda, dal punto di vista del business il vantaggio è quello di poter avere – senza nessun aumento dei costi per l’acquisto del cashmere – un importante ritorno in termini di storytelling e di branding, un ritorno legato non alle solite operazioni di Greenwashing (ne abbiamo viste fin troppe negli ultimi anni…) ma alla partecipazione concreta a un progetto di filiera tessile sostenibile e virtuosa che è reale e pienamente documentato e verificabile.

 

 Il progetto “Sustainable Cashmere of Mongolia” è appunto un tentativo importante di dare vita a una filiera ecosostenibile e trasparente, assicurata anche dall’utilizzo di un sistema di tracciabilità in blockchain. Come funziona e che vantaggi offre ai consumatori questo tipo di tracciabilità?

Di certificazioni puramente formali e di progetti ecosostenibili di facciata ce ne sono innumerevoli, nel tessile come in altri settori. La differenza la fa la possibilità, per il consumatore, di verificare facilmente se stiamo parlando di un progetto vero o di una semplice operazione di comunicazione e di marketing.

Nel nostro caso questa possibilità di verifica è resa estremamente semplice e immediata grazie all’utilizzo della blockchain e alla presenza – sull’etichetta associata al capo che viene acquistato – di un QR Code che va semplicemente inquadrato con la fotocamera dello smartphone per ottenere in pochi secondi tutte le informazioni dettagliate sul preciso ed esatto allevamento da cui trae origine il filato che è servito per produrre il capo (per esempio il maglione). Il QR Code dà accesso a un database con informazioni e immagini relative alla famiglia di pastori nomadi mongoli dal quale proviene il filato, consentendo in questo modo una tracciabilità vera e totale.

 

In che misura il progetto “Sustainable Cashmere of Mongolia” è stato ed è sostenuto da enti privati e pubblici e da associazioni di categoria? Che interesse sta suscitando sul mercato?

Per quanto riguarda i privati gli investimenti sono arrivati da me e dalla mia famiglia, mentre gli enti pubblici che stanno sostenendo il progetto sono molti, e comprendono l’Unione Europea (che ha stanziato oltre 10 milioni di euro per il progetto), la Svizzera (che ha investito 136 milioni di franchi), la FAO, la Mongolia, l’Italia e gli Stati Uniti.

Il progetto “Sustainable Cashmere of Mongolia”, che dovrebbe ottenere a breve la certificazione IGP da parte dell’Unione Europea, è iniziato circa diciannove anni fa, ha richiesto un lungo lavoro e importanti investimenti e ha già ottenuto diversi premi e riconoscimenti internazionali, a partire dal riconoscimento all’Expo 2015 come Miglior Progetto di Sviluppo Sostenibile a livello mondiale.

L’interesse sul mercato è enorme e tutti i più importanti gruppi internazionale del lusso e del tessile di fascia alta – nessuno escluso – stanno mostrando grande apprezzamento per il progetto.

 

Il settore tessile sta attraversando una fase complessa, tra impatto del Covid, crisi delle supply chain globali, esplosione dei costi di trasporto e di produzione, shock energetico, innovazioni tecnologiche e rivoluzione green. In che modo secondo lei si evolverà il settore nei prossimi anni e a che punto è oggi l’evoluzione – che è già in corso da anni – verso un sistema tessile-moda maggiormente ecosostenibile e virtuoso?

Nel mondo del fashion il modello che ha dominato per decenni oggi non è più sostenibile, perché comporta troppi sprechi e perché è troppo inquinante. Negli ultimi anni le cose stanno finalmente cambiando e ci stiamo muovendo verso un modello tessile-moda sicuramente migliore, anche se la strada da percorrere è ancora lunga. Quando si parla di ecosostenibilità vedo ancora oggi troppe autocertificazioni e troppe operazioni di marketing puro senza alcuna sostanza reale. La differenza tra la sostenibilità vera e quella finta – lo ripeto – la fa la possibilità per il consumatore di controllare se quello che gli viene raccontato è effettivo e accertabile oppure è un insieme di parole belle ma inventate a tavolino.

 



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