INTERVISTA A NOEMI NEGRI
NOEMI NEGRI – Consulente IT e web content manager, Noemi Negri è autrice del libro “Storia dell’ipertesto. Teorie e strumenti per uno spazio digitale di testi interconnessi” (Polyhistor Edizioni)
Con la nascita del web, all’inizio degli anni Novanta, l’esperienza ipertestuale è diventata qualcosa di assolutamente normale nelle nostre vite. Ma come nasce storicamente, in ambito filosofico e informatico, la nozione di ipertesto e come possiamo definirla? Quali sono le prime applicazioni storiche del concetto di ipertesto?
Nell’ambito della letteratura, dell’informazione e, più in generale, della conoscenza umana, tutto è collegato. Chiunque si dedichi allo studio approfondito di qualsiasi argomento lo scopre: esistono innumerevoli legami tra opere, autori e concetti. Ted Nelson lo esprimeva con il suo mantra: “Everything is deeply intertwingled”, dove “intertwingled” è una parola da lui inventata per descrivere l’idea di un groviglio di connessioni profonde e complesse, non lineari.
Nelson partì proprio da questa visione della conoscenza umana come una rete (innanzitutto di testi) e dedicò la sua carriera alla progettazione di uno strumento in grado di riflettere e rappresentare questa struttura. L’obiettivo era quello di superare, grazie alla tecnologia, le limitazioni della carta stampata permettendo di visualizzare e sfruttare i collegamenti tra testi in modo dinamico e interattivo.
Nel 1965, Nelson coniò il termine “ipertesto” per descrivere un corpus di testi non lineare, organizzato in moduli collegati tra loro per associazione, senza una gerarchia fissa. Questo concetto prevedeva una modalità di lettura libera, che non fosse necessariamente integrale, e permetteva di seguire percorsi logici diversi e autonomi. Era importante anche la possibilità di contribuire alla produzione della conoscenza, aggiungendo nuovi testi o collegamenti originali.
Tuttavia, il primo progetto di un sistema ipertestuale risale a molto prima della teoria di Nelson. Il Memex di Vannevar Bush, descritto in un articolo del 1945, era uno strumento meccanico per la fruizione di testi su pellicola e la sua caratteristica più visionaria era la possibilità di tracciare collegamenti permanenti tra testi diversi.
Anche l’oN Line System di Douglas Engelbart, sviluppato contemporaneamente ai primi lavori di Nelson, era basato su moduli testuali collegati tramite link. Questo sistema era progettato per facilitare la collaborazione tra colleghi ed era volto principalmente alla produzione e condivisione di testi per formare un corpus condiviso.
Il concetto di ipertesto e le sue prime applicazioni, dunque, nascono dalla necessità di sviluppare nuovi strumenti conoscitivi e tecnici per l’organizzazione e la gestione delle informazioni.
Dal punto di vista storico e culturale che significato ha l’ipertesto e in che modo ha da una parte espresso e dall’altra influenzato l’evoluzione dei nostri valori e del nostro modo di vedere il mondo, di studiare, di leggere e di scrivere?
L’ipertesto è un prodotto culturale che riflette e condiziona il modo di vivere e di vedere il mondo del suo tempo. L’evoluzione tecnica accompagna da sempre quella umana, anche se le due non procedono necessariamente allo stesso ritmo. L’uomo opera uno sforzo costante per descrivere e padroneggiare la complessità che lui stesso crea o scopre.
Altre idee hanno rivoluzionato il pensiero del Novecento: la Teoria della relatività, il Principio di indeterminazione in fisica, le scienze cognitive, il concetto di “possibilità” in filosofia e quello di “società liquida” in sociologia, solo per citarne alcuni. La nozione di ipertesto si colloca tra queste innovazioni.
La novità dell’ipertesto risiede principalmente nella sua struttura interconnessa. I contenuti non sono mai isolati, ma dialogano tra loro, rifiutando conclusioni univoche o definitive. Non esiste una gerarchia tra i testi, così come non esiste “l’ultima parola” su un determinato argomento. Questo ci permette di vedere la conoscenza come un sistema aperto, dialogico e in continua evoluzione.
Inoltre, l’ipertesto è multilineare. La complessità non può sempre essere ridotta a un solo filo logico, ma spesso ci costringe a considerare più spiegazioni o teorie contemporaneamente. Una struttura fluida e plurale ci consente di esplorare diverse connessioni e ricombinare le informazioni per creare nuovi spunti di riflessione.
Queste caratteristiche contrastano la compartimentazione del sapere e favoriscono l’ibridazione tra discipline, facilitando il dialogo tra cultura umanistica e scientifica, così come tra cultura “alta” e “bassa”, una tendenza che si è accentuata nel corso del Novecento.
Un altro aspetto fondamentale dell’ipertesto è la sua natura collaborativa. Chiunque può contribuire al dialogo e alla costruzione della conoscenza. Concetti come uguaglianza, libertà di espressione e democrazia sono strettamente legati all’idea di ipertesto. Non esiste una gerarchia rigida o una forte autorità: ciascun individuo è protagonista sia nella produzione che nella fruizione dei contenuti.
L’ipertesto non ha un inizio o un centro, ma ha una struttura decentrata e sempre ri-centrabile a seconda degli interessi di ciascuno. Le informazioni sono più accessibili, e lo sono per tutti, riducendo le disuguaglianze nell’accesso alla conoscenza.
Il concetto di libertà è quindi centrale. Non a caso, Ted Nelson intitolò uno dei suoi libri “Computer Lib” (dove “lib” significa sia library che liberation). Già nel 1980, Nelson aveva previsto alcuni ostacoli a questo futuro di libero accesso alla conoscenza e di libertà di espressione: l’analfabetismo informatico, il controllo della rete da parte delle istituzioni, ma anche il rischio di affidare la nostra possibilità di scelta a algoritmi che filtrano per noi la vasta quantità di informazioni di un ipertesto in continua espansione.
L’ipertesto ha avuto storicamente anche delle declinazioni artistiche, nella letteratura e nel cinema. Quali sono stati, da questo punto di vista, gli esperimenti più interessanti?
Nel 1987 venne creato Storyspace, un sistema ipertestuale pensato appositamente per la scrittura letteraria. Uno dei suoi creatori, Michael Joyce (omonimo del celebre modernista, per ironia della sorte), fu anche il primo a sperimentarlo.
Afternoon, a story, il suo primo romanzo ipertestuale, è difficile da riassumere: ogni lettura è diversa, poiché il lettore può esplorare percorsi differenti tra i nodi testuali. La storia inizia con il protagonista Peter che afferma: «I want to say I may have seen my son die this morning». Da questa incertezza, il lettore è spinto a risolvere il mistero, indagando il racconto alla ricerca di indizi. Le sue scelte creano percorsi tra i frammenti del romanzo, avvicinandosi a delle risposte che, però, rimangono sempre sfuggenti. Il romanzo non ha una fine prestabilita: termina quando il lettore decide di interrompere la lettura. Afternoon esplora in modo ricco e poetico i fili intricati della conoscenza e della memoria, le interconnessioni tra le vite dei suoi personaggi postmoderni.
L’esperienza di lettura di un romanzo ipertestuale è simile al tentativo di ricostruire la trama di un sogno dalle effimere sensazioni che si provano al mattino, dagli stralci di conversazione o dalle immagini fugaci che si ricordano. Un’esperienza simile si trova nel romanzo successivo di Joyce, Twelve Blue.
Questo romanzo gravita attorno al colore blu e a cupe immagini acquatiche, legate al tema dell’affogamento, metaforico o fattuale. A differenza di Afternoon, Twelve Blue è accessibile gratuitamente sul sito dell’editore Eastgate Systems.
Il romanzo intreccia molte storie, le quali talvolta corrono vicine senza mai entrare in contatto, legate da una vicinanza metaforica o semantica, altre volte invece si uniscono per un tratto divenendo quasi inestricabili, altre ancora si intersecano in una sola occasione per poi divergere. Nessuna storia predomina sulle altre nel complesso, ma diverse letture potrebbero raggrumarsi intorno ad alcuni nuclei, e lettori differenti potrebbero affezionarsi a personaggi diversi. Il risultato è un romanzo composto prevalentemente da atmosfere, umori; una narrazione profondamente evocativa che non si configura mai in un discorso razionale, portatore di un significato univoco.
Purtroppo, i romanzi ipertestuali non sono mai usciti dalla nicchia degli appassionati e sono, oggi, quasi impossibili da trovare. Questo sottogenere della letteratura elettronica, nato in un momento di forti cambiamenti della storia dell’informatica, era legato a standard precedenti al Web e a software divenuti in pochi anni obsoleti.
C’è chi sostiene che la letteratura ipertestuale non sia morta, ma solo dormiente: la sua rinascita potrà avvenire solo tramite una rifondazione nel Web 2.0, con nuovi software, strutture, tematiche, e uno sguardo privilegiato ai dispositivi mobili.
Gli esperimenti ipertestuali nel cinema sono più rari, perché un film interattivo si avvicina molto di più alla logica del videogioco che agli ipertesti letterari. Un esempio piuttosto noto è Bandersnatch, prodotto e distribuito da Netflix nel 2018. Questo episodio interattivo di Black Mirror permette agli spettatori di prendere decisioni per il protagonista, influenzando la narrazione. L’aspetto ipertestuale emerge dalla possibilità di scegliere tra diversi percorsi narrativi, creando esperienze di visione differenti. A differenza dei romanzi sopra citati, Bandersnatch permette una combinazione di scelte molto più ridotta e si conclude, in media, nel giro di 90 minuti.