L’angolo dell’arte 1
MICHELANGELO E LA VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA
Michelangelo, insieme a Leonardo e a Raffaello, fa parte di quel gruppo di artisti, che gli storici dell’arte chiamano “triade solare” del Rinascimento.
Se l’arte di Leonardo, infatti, si distingue per la sua funzione di conoscenza della natura, della vita, della scoperta del mondo, se i dipinti di Raffaello comunicano, nella semplicità e naturalità, un ideale di bellezza che attira e ammalia, l’arte di Michelangelo è conosciuta non solo per il suo virtuosismo tecnico, per l’originalità e la ricchezza delle invenzioni, per la caratterizzazione dei personaggi, ma soprattutto perché, pieno di interrogativi, di dubbi e di inquietudini, proietta nella sua arte il groviglio e le contraddizioni dell’animo umano.
Testimonianza e sintesi della complessa personalità umana ed artistica di questo genio del Rinascimento sono i celebri affreschi della Cappella Sistina.
L’idea che ha dato vita ai dipinti della Cappella si colloca nell’alveo dell’antica tradizione cristiana. Molti del ceto popolare del tempo non sapevano né leggere né scrivere né quindi potevano accostarsi direttamente ai testi sacri.
Perciò la Chiesa, fin dai primi secoli, ha affidato agli artisti il compito di far conoscere il racconto della Bibbia per mezzo delle immagini, che hanno una tale forza comunicativa da essere comprensibili anche agli analfabeti.
E’ in questa prospettiva che va colta l’importanza dei celebri affreschi popolati da più di 300 personaggi.
Le due pareti che si contrappongono della Cappella sono state dipinte dai grandi artisti del XV secolo: Perugino, Botticelli, Ghirlandaio, Pinturicchio e narrano da un lato la storia di Mosè, il profeta che ha liberato il popolo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto e, dall’altra, quella di Cristo, il salvatore definitivo dell’umanità.
A questi primi artisti, però, occorreva che se ne aggiungesse un altro, che completasse in una visione totalizzante le loro intuizioni.
Questo compito lo assumerà Michelangelo.
Nonostante ponga la scultura al di sopra di tutte le arti, Michelangelo non esita a dedicare, soffrendo anche fisicamente, come dice in un sonetto, quattro anni della sua vita alla realizzazione degli affreschi della volta della Sistina e cinque a quella del Giudizio universale.
Se entriamo nella Cappella e ne percorriamo con lo sguardo tutta la volta fino all’altare, vediamo dipanarsi l’intera storia della salvezza: dalle scene della Creazione alla storia di Noè, dal cui figlio, Sem, discenderà la stirpe ebraica fino ad Abramo e da questi, lungo le quaranta generazioni narrate dall’evangelista Matteo, fino a Giuseppe, padre di Gesù.
La volta poi precipita come un fiume a cascata di fronte ai nostri occhi: il passato confluisce nel presente, messo a dura prova nella traversata dell’esistenza, che avrà come termine il Giudizio Universale, raffigurato sulla parete alle spalle dell’altare.
Qui una precisazione: non si può capire l’arte di Michelangelo, ma anche di Leonardo e di Raffaello, se non si conosce la visione cristiana dell’uomo, della sua storia e del suo destino, perché è alla luce di questa visione che essi realizzano la loro arte.
Ed è per questo che il grande artista prende come scritto di riferimento il primo libro della Bibbia, la Genesi, su cui si innestano tutti gli altri libri del V. e del N. T. che Michelangelo dimostra di conoscere molto bene e da cui la sua arte viene straordinariamente fecondata e potenziata.
Il grande artista si accingerà a dipingere nella volta della Sistina nove episodi, divisi in gruppi di tre, che raccontano la storia della Creazione fino all’ebbrezza di Noè, obbligando però lo spettatore a leggerli in ordine inverso rispetto a quello seguito dalla narrazione biblica, perché è proprio in questo senso inverso che Michelangelo le ha dipinte.
Infatti, quelli della storia di Noè, che concludono i primi 11 capitoli della Genesi, sono all’entrata della Cappella; quelli della creazione di Adamo stanno al centro della volta; è sul fondo, al di sopra dell’altare, che si osserva la scena di Dio che crea l’universo.
Anche la scena emblematica della creazione dell’uomo, che sta tra le due parti (storia di Noè e creazione dell’universo), costringe l’osservatore a guardare i tre eventi ( creazione di Adamo, creazione di Eva e trasgressione all’ordine divino) in senso inverso.
Alla creazione dell’universo Michelangelo dedica tre scene della volta: la Separazione della luce dalle tenebre, la Creazione degli astri e delle piante, la
Creazione del firmamento.
Il riferimento nel primo riquadro è al primo giorno della creazione, in cui Dio separa la luce dalle tenebre.
Dio è ritratto da “sotto in su” in una visione prospettica di grande efficacia: sospeso nello spazio, con una mano allontana le tenebre e con l’altra dà origine alla luce, che emana direttamente dalla sua persona.
Tutta la scena è dominata da un movimento accentuato, come se spirasse un vento forte, che sembra alludere allo spirito di Dio, di cui fa cenno il primo versetto della Genesi: “In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”.
Michelangelo nel turbinio, che investe la tunica e il mantello di Dio, allude proprio alla presenza di questo Spirito nell’atto creativo.
Nel secondo riquadro Michelangelo sdoppia la scena associando l’attività di Dio della terza giornata ( creazione delle piante) e della quarta (creazione del sole, della luna).
Qui Dio compare due volte: a sinistra crea le piante, rappresentate dal piccolo cespuglio, che sembra crescere sollecitato dal suo gesto e a destra gli astri: il sole, a cui Dio creatore punta il suo indice del braccio destro e la luna indicata con l’indice del suo braccio sinistro.
L’immagine di Dio è resa con potenza straordinaria e viene resa espressiva dai gesti imperiosi delle mani e dello sguardo carico di autorevolezza.
Il mirabile scorcio di schiena dell’immagine che sta a sinistra vuol rappresentare l’infinita mobilità di Dio, accentuata dal movimento trasversale all’asse delle braccia aperte dell’ immagine di Dio a destra.
La spregiudicatezza della tecnica pittorica adoperata dall’artista è ben visibile nei capelli e nella folta barba di Dio rafforzati con linee scure tracciate in punta di pennello.
Il terzo riquadro è dedicato alla seconda giornata della creazione, quando Dio crea il firmamento come barriera alle acque che stanno sopra di esso, impedendo che esse inondino la terra.
Nelle culture antiche il firmamento era immaginato come una volta che impediva alle acque superiori di precipitare verso la terra.
Michelangelo raffigura Dio che si libra al centro delle due masse d’acqua.
L’iconografia precedente immaginava Dio statico, maestoso e solenne; Michelangelo rompe gli schemi. Dio è il creatore della vita, tutto in lui è movimento e azione. Gli angeli e il mantello gonfio di vento, che lo sostengono, accentuano l’idea della bellezza e della gratuità della creazione.
Come si è detto, nei tre riquadri centrali della volta della Sistina Michelangelo raffigura le scene che hanno per soggetto la creazione dell’uomo e della donna.
Nel terzo riquadro a questi si aggiunge un terzo personaggio, il serpente, che la Bibbia definisce “la più astuta di tutta le bestie”. La malizia del serpente indurrà l’uomo e la donna a disobbedire a Dio.
L’idea dell’uomo plasmato con la terra è sottolineata dal nome Adamo, in ebraico Adamà, cioè terra.
Michelangelo piuttosto che insistere sull’immagine di Dio che materialmente forma con la terra il corpo del primo uomo, raffigura Adamo che sembra uscire con il suo corpo dalla terra, chiamato alla vita dalla potente mano di Dio.
La potenza dell’atto creativo di Dio è tutta compresa nella bellezza statuaria del corpo di Adamo e nello sguardo dell’Onnipotente, la cui figura, che si libra nell’aria, pare dare ancora più spinta all’atto creativo, insito nel gesto imperioso della mano, verso la quale la mano e il corpo di Adamo sembrano aprirsi.
La scena configura visibilmente l’idea dell’onnipotenza nella naturalezza e nella forza del gesto creatore.
Nessuno era mai riuscito ad avvicinarsi con tanta forza e semplicità alla grandezza del mistero della creazione.
Tutta la scena gravita intorno al gesto di Dio, che con la mano invita Eva a staccarsi e a distinguersi dal corpo di Adamo immerso nel sonno.
La tesi di Eva tratta dalla costola del corpo di Adamo è un’ espressione figurata che assume una duplice valenza: l’uomo e la donna hanno la stessa natura e sono complementari l’uno dell’altra.
Le mani di Eva, giunte e tese nel gesto di ringraziamento, la bocca semiaperta a sottolineare lo stupore e la meraviglia del primo istante di vita, il corpo chinato nell’atteggiamento dell’adorazione mettono in evidenza la totale gratuità del gesto di Dio che crea solo per amore.
Si noti il corpo di Adamo appoggiato ad un albero mozzo.
Un altro tronco di albero, molto simile a questo, al quale è accostato il corpo di Eva, lo troviamo nel riquadro successivo, che raffigura la tentazione e la disubbidienza dei progenitori.
Alcuni commentatori ritengono che quel tronco sia allusivo alla croce.
Michelangelo realizza la scena seguendo in modo quasi letterale il racconto biblico e divide lo spazio come un trittico.
L’artista concede poco alla fantasia. Lo scopo è quello di arrivare con pochi elementi necessari a sottolineare il carattere drammatico della rappresentazione.
Nulla deve distrarre. Per questo il paesaggio è ridotto all’essenziale: il serpente ha le sembianze di una donna con enormi spire che avvolgono l’albero, quasi a volere sostituirsi a questo, e per sottolineare la forza sottile e attraente del male.
Adamo ed Eva sono raffigurati ancora con il viso e il corpo dell’innocenza, tutte due tesi, però, a cogliere quel frutto che segnerà l’origine della loro condanna.
Adamo, anziché ricevere il frutto da Eva, come dice il testo della Genesi, lo coglie direttamente.
Il braccio destro di Eva e il suo pugno chiuso sono già elementi che preannunciano quello che sta per accadere.
Ma l’elemento più drammatico è rappresentato dal tronco secco, al quale si appoggia il corpo di Eva. Esso è certamente allusivo all’albero della vita, uno dei due alberi citati espressamente nel libro della Genesi: “L’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male”.
Il corpo di Eva fa seccare l’albero della vita, perché con la trasgressione all’ordine divino la morte entra nella storia; da quel momento “la madre dei viventi” originerà uomini che avranno per vocazione la morte.
Nella parte destra del riquadro è raffigurato un angelo vestito di rosso, che con la spada sguainata, incalza minaccioso i due progenitori.
L’atteggiamento dei loro corpi e l’aspetto dei loro volti rivelano spavento e angoscia.
Il viso luminoso e affascinante di Eva, espressione di giovinezza e di bellezza nella scena della cacciata dal Paradiso terrestre si trasforma in una maschera di terrore .
La bellezza languida del corpo e l’innocenza dello sguardo di Adamo qui sono cancellati.
Si noti un altro particolare: l’albero al centro della scena ha rami rigogliosi e ricchissimi di foglie che si espandono tuttavia solo verso la parte che idealmente rappresenta il giardino dell’Eden.
Da quel giardino Adamo ed Eva vengono scacciati e la terra che calpestano è brulla e piatta come il deserto.
Anche l’inizio della storia di Noè è drammatico.
Dice la Bibbia: “Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male… Il Signore disse: Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato: con l’uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti”.
La punizione di Dio per l’umanità è il diluvio, che distrugge tutto fuorché Noè, perché trovò grazia agli occhi del Signore, e la sua famiglia.
L’affresco del diluvio è dipinto con notevole verismo. Sulla terra e sulle rocce, che ancora riescono a emergere dall’invasione delle acque, s’accalcano persone che cercano di mettersi in salvo con le loro poche cose.
Il vento che scompone mantelli, chiome e rami accentua il senso ineluttabile del dramma.
L’arca, che rischia di affondare per le troppe persone che la stanno prendendo d’assolto, è il simbolo della tragedia.
Dalla prua si intravede Noè, che da una finestra laterale guarda il cielo e con la mano alzata sembra volersi rendere conto di quanto si sta svolgendo attorno.
In alto, al centro dell’imbarcazione, una colomba sta spiccando il volo, preludio, dopo la tragedia, di una vita che continua. Con Noè infatti la storia del mondo ricomincerà come da capo.
Salvati dal diluvio Noè e i superstiti offrono un sacrificio al Signore, al quale, come ringraziamento, donano le carni di un ariete
Il racconto biblico narra come Cam, vedendo giacere nudo e scoperto il padre ubriaco per aver bevuto troppo vino, ne avvertì i fratelli Sem e Jafet, che vennero per coprirlo con un mantello, camminando a ritroso per non essere costretti a vedere le sue nudità
Michelangelo ambienta la scena in una capanna di legno, col corpo del patriarca, ebbro e assopito, in posizione distesa su un giaciglio. Vicino a lui si trovano una brocca e una ciotola. Al centro, sotto la capanna, campeggia un grosso tino. La metà destra è occupata dai suoi figli che si accorgono dell’accaduto e fanno per coprirlo, nonostante essi stessi siano nudi. Per il gesto di derisione compiuto da Cam, che lo indica con l’indice, Noè, al suo risveglio, ne maledirà la stirpe: questa condizione di reprobo è legata anche all’aspetto molliccio e arrotondato del suo corpo, mentre i suoi due fratelli hanno corpi atletici e intonati a gesti eroici.
All’esterno, sulla sinistra, ha luogo la scena di Noè di nuovo al lavoro per dissodare la terra dove pianterà la vigna. Egli indossa una tunica rosso-sangue dipinta con il ricorso a leggerissime velature di colore.
Dopo il diluvio, dai figli di Noè nasceranno le generazioni future. Sem sarà il capostipite della famiglia, dalla quale nascerà Abramo, che la Bibbia indica come il Padre di tutte le genti: “In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”. Cam, che ha osato invece deridere e offendere il padre, è maledetto.
Ma quella che sembra una storia segnata dal male, in realtà, è storia di liberazione e di salvezza, che viene prefigurata da fatti della storia di Israele e proclamata dai profeti.
Infatti, il piccolo e sconosciuto popolo di Israele è scelto da Dio tra tutti gli altri popoli come suo alleato.
In questo cammino di salvezza un ruolo fondamentale hanno i profeti.
Michelangelo, perciò, agli angoli della volta dipinge non solo quattro grandi spazi triangolari, sui quali l’artista immagina alcuni fatti della storia di Israele: Giuditta e Oloferne, Davide e Golia, la Punizione di Amàn, il Serpente di bronzo, ma anche tra un episodio e l’altro dipinge le figure di alcuni profeti.
Le storie di Giuditta e Davide infatti sono da lui collegate alla missione del profeta Zaccaria, che Michelangelo immagina intento a sfogliare un libro, contenente gli avvenimenti che dovranno accadere. Nel suo libro, il profeta per ben due volte annuncia che Dio ha intenzione di liberare il suo popolo, rendendolo come “spada di un eroe” contro i nemici.
La punizione di Amàn e il Serpente di bronzo sono relazionati invece alla vita di Giona, che si caratterizza per la sua imponenza.
Il profeta è delineato con a fianco un grosso pesce nel momento in cui, dopo il tentativo di eludere il comando di Dio, accetta la missione di predicare agli abitanti di Ninive la necessità di pentirsi e convertirsi.
Dell’attesa del Messia e quindi della salvezza, che ha percorso tutta la storia del popolo di Israele, Isaia è l’interprete più tipico, l’anticipatore più significativo, raffigurato con lo sguardo verso la visione del Messia, che dovrà nascere: “Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele, cioè “Dio con noi”.
Michelangelo nelle lunette della volta raffigura anche Gioele, il profeta citato da S. Pietro nel giorno della Pentecoste, Daniele, che regge un grande libro, contenente il preannuncio dell’avvento di un grande regno che si estenderà a tutti i popoli, Geremia, che incarna il dolore e la sofferenza per la sorte del suo popolo deportato lontano da Gerusalemme, ed infine, Ezechiele, che tiene il rotolo delle profezie svolto nella mano sinistra.
Il grande artista assieme ai profeti dell’Antico testamento colloca cinque Sibille pagane, che ispirate da un dio, normalmente Apollo, rivelavano il futuro, per sottolineare che tutta la storia umana era in attesa di una salvezza e che quindi l’attesa di un Salvatore era presente anche tra i pagani.
Per questo egli, alternate ai sette profeti, ne dipinge cinque: la Cumana rappresentata come una donna anziana ma con un corpo ancora vigoroso, intenta a leggere un libro.
Di lei fa riferimento Virgilio nell’Eneide e nelle Bucoliche, riportando una sua profezia con queste precise parole: “Il grande ordine dei secoli nasce di nuovo. E già ritorna la vergine, già la nuova progenie discende dall’alto dei cieli. Tu, o casta Lucina, proteggi il fanciullo che sta per nascere, con lui finirà la stagione del ferro e in tutto il mondo sorgerà quella dell’oro”.
L’antichità cristiana leggeva in questa profezia la nascita del Salvatore dalla Vergine Maria, come aveva scritto il profeta Isaia.
Nella Volta della Sistina, non a caso, Isaia e la Cumana sono dipinti vicini.
Alla Cumana Michelangelo aggiunge la figura della Sibilla Libica, che è da considerarsi tra le migliori sue rappresentazioni; la Delfica, la più ammirata per la sua bellezza fisica e ideale; la Persica, raffigurata anche lei come una vecchia ricurva, che legge con fatica un libro ed infine la Sibilla Eritrea, dal profilo dolce e nobile insieme, intenta a sfogliare un libro.
Michelangelo dipinge nelle lunette, sempre ai lati della volta Sistina, la genealogia del Messia.
L’idea, che l’artista vuole esprimere, è chiara: la storia dell’umanità si muove dentro un progetto di salvezza: dal primo uomo, Adamo, e dalla sua disubbidienza si sviluppa, di generazione in generazione, la volontà di Dio di redimere il suo popolo.
Nei vangeli vengono elencate due genealogie di Gesù: la prima è nel vangelo di Matteo, l’altra in quello di Luca.
Michelangelo sceglie l’elenco della genealogia riportata da Matteo, costituita da 40 generazioni.
Come si vede da questi esempi, l’artista dipinge nelle vele triangolari, disposti tra i profeti e le Sibille, gruppi familiari cui appartengono gli Antenati di Cristo, riconoscibili dai loro nomi riportati in riquadri al centro delle lunette.
La volta della Sistina, dunque, è innanzitutto un’amara meditazione sulla storia dell’umanità ferita, ma è nello stesso tempo una profezia di salvezza, la cui realizzazione si è compiuta con la venuta di Cristo e si concluderà con la sua seconda venuta di giudice, che Michelangelo raffigura in tutta la sua potenza al centro della parete alle spalle dell’altare della Cappella.
(1- Continua)