Intervista a Paolo Torello-Viera – CEO Lanificio Fratelli Cerruti

Lanificio Cerruti. Stile italiano dal 1881

Intervista a Paolo Torello-Viera – CEO Lanificio Fratelli Cerruti

A cura di Luigi Torriani e Costanza Pol

LANIFICIO FRATELLI CERRUTI – Storica azienda tessile italiana fondata nel 1881, il Lanificio Fratelli Cerruti ha sede centrale a Biella, showroom a Milano e uffici commerciali a Hong Kong e in Giappone. È un marchio conosciuto in tutto il mondo e reso celebre dai successi del grande stilista e imprenditore Nino Cerruti, che ha vestito per decenni le più grandi star del cinema hollywoodiano (Harrison Ford, Jack Nicholson, Bruce Willis, Robert Redford, Tom Hanks, Sharon Stone, Michael Douglas, Richard Gere, Jeremy Irons, Diane Keaton, Marcello Mastroianni, Clint Eastwood, Sean Penn, Hugh Grant…) e i grandi protagonisti dello sport (Ingemar Stenmark nello sci, Mats Wilander e Jimmy Connors nel tennis, Jean Pierre Papin nel calcio, Jean Alesi, Gerhart Berger, Jacques Villeneuve e Michael Schumacher nella Formula 1, e tanti altri). Dal luglio del 2018 il Lanificio F.lli Cerruti è di proprietà per l’80% del fondo anglo-svedese Njord Partners, mentre la famiglia Cerruti ha mantenuto il 20% delle quote

Il fondo Njord Partners, dopo aver acquisito l’80% delle quote del Lanificio Cerruti, nel luglio del 2018, ha scelto lei come nuovo CEO dell’azienda. Attraverso quali esperienze e in virtù di che tipo di percorso professionale è arrivato a un ruolo manageriale così prestigioso? Quali sono ora gli obiettivi e su cosa intende puntare maggiormente per tornare a far crescere l’azienda?

La mia è una “storia tessile” dalla a alla z. Sono nato a Biella, storico distretto tessile italiano, e ho iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia, che opera su materie prime e filati. Successivamente ho aperto una società nel comparto maglieria, entrando nel frattempo nell’orbita di Zegna come consulente  e di prodotto. Mio nonno era amico del conte Ermenegildo Zegna, e quindi possiamo parlare – in questo caso – di un approdo che ha in qualche modo un legame con le mie origini, anche se è stato proprio il lavoro nel Gruppo Zegna ad allontanarmi dall’Italia. È il 2002 l’anno in cui mi trasferisco negli Stati Uniti, Paese nel quale ho lavorato per diversi anni ricoprendo diversi ruoli dirigenziali.

Come è avvenuto il ritorno in Italia? Un’occasione per riavvicinarmi all’Italia si era già presentata nel 2007, quando in Zegna mi fu proposto di trasferirmi in Svizzera per diventare responsabile della supply chain, ma declinai per stare vicino a mia moglie, che era contraria a un ritorno in Europa. Nel 2008 lascio Zegna e divento direttore operativo (COO) in Brioni, altro grandissimo brand del settore moda. Siamo però nel 2008, l’anno della grande crisi finanziaria scoppiata negli Stati Uniti, e nei giorni del fallimento di Lehman Brothers io ero in televisione a proporre un abito da 42mila dollari. Evidentemente la situazione non era facile, e i due anni passati in Brioni sono stati per me molto importanti ma tutt’altro che “morbidi”. A questo punto (siamo nel 2010) inizia per me un’altra esperienza, in Canada, come COO alla Samuelsohn, importante azienda tessile specializzata nei capispalla uomo. Ma dopo poco più di anno – nel 2011 – rientro negli Stati Uniti, anche per stare più vicino a mia figlia, e divento dapprima CEO di BVM Usa (con lo storico brand Les Copains e Gian Battista Valli), e successivamente – dal 2014 al 2017 – CEO  per le Americhe di Pal Zileri.

A questo punto arriva – del tutto inaspettata – la telefonata dal Lanificio Cerruti, e la proposta di diventare il nuovo CEO del Gruppo. La decisione non è stata facile; mia moglie e mia figlia sono rimaste a New York, ora le raggiungo tutti i mesi per alcune giornate, ma è chiaro che da questo punto di vista la situazione è tutt’altro che semplice. Sapevo però fin dal primo istante che avrei accettato: tornare in Italia per gestire un’azienda biellese di altissimo livello per me è sempre stato un sogno ed è una sfida a cui non potevo e non posso sottrarmi. Avverto un grande senso di responsabilità, innanzitutto nei confronti dei 350 dipendenti che entrano in azienda tutte le mattina a Biella, e che sicuramente si aspettano molto  dalla politica  di rilancio dell’azienda che stiamo facendo. Ma c’è anche in me un’euforia, e un entusiasmo professionale che non provavo da tempo. Al di là di fatturati e di ebitda, se guardiamo le cose dal punto di vista del valore percepito e del prestigio dei marchi, credo di poter dire – senza paura di essere smentito – che il Gruppo Cerruti è tra i primi tre brand a livello mondiale nella moda maschile, insieme a Zegna e a Loro Piana. Il Signor Nino Cerruti è stato ed e’ tuttora   un personaggio visionario, fu lui ad assumere un giovane che si chiamava Giorgio Armani, ha vestito tutti i grandi divi di Hollywood e ha creato un marchio che ha pochi eguali nel mondo per importanza e prestigio.

Quali sono ora gli obiettivi? Sicuramente, e innanzitutto, riportare il brand Cerruti dove merita di essere, ovvero ai più alti livelli. Ma tutto questo va fatto (e lo stiamo già facendo) con manovre migliorative e con una politica dei piccoli passi, senza cambiamenti radicali e senza stravolgimenti. Nel mondo di oggi non vince chi corre e chi va di fretta ma chi si muove nella direzione giusta.

Il Lanificio Cerruti è una delle grandi aziende tessili di Biella, storico distretto tessile italiano. Quanto è importante per voi il legame con il territorio e qual è il suo giudizio complessivo sulla situazione attuale e sulle prospettive future – dopo anni di crisi – del distretto? Quali sono i punti di forza, e quali invece le criticità e i difetti, del tessile biellese?

Io sono innamorato di Biella, e sono innamorato del Lanificio Cerruti, che è l’unico lanificio che si trova all’interno del perimetro della città (gli altri sono tutti in provincia) e che ha un legame fortissimo con il territorio.

I biellesi hanno tanti pregi: sono persone estremamente etiche, correttissime e lungimiranti, e sono – da sempre e ancora oggi – dei lavoratori indefessi. Abbiamo tantissimi giovani e tanti ragazzi in gamba, e la sfida è riuscire a far rimanere i migliori sul territorio, evitare che se ne vadano – per sempre – altrove.

Per quanto riguarda i difetti, voglio sottolineare due aspetti. Il primo è di natura logistica ed è legato al fatto che Biella è l’unica provincia italiana che non è raggiungibile in autostrada. Il secondo problema è più profondo, e ha a che fare con l’atavica difficoltà dei biellesi a fare squadra, a cercare punti di contatto e di coesione, a collaborare e a creare reti. Lo stemma di Biella raffigura un orso solitario che passa accanto a un albero. Ecco, io vorrei che questo orso diventasse come Baloo del “Libro della giungla”, cioè una figura collaborativa e che si confronta con gli altri.

Ultimamente un segnale importante in questa direzione è rappresentato dal percorso che ci ha portato ad entrare nel circuito mondiale delle città creative Unesco. Nell’ottobre del 2019 Biella ha ottenuto il riconoscimento dell’Unesco come “Città Creativa”. È un traguardo sicuramente prestigioso, e ci siamo arrivati perché finalmente – per una volta – abbiamo lavorato uniti e compatti, ci siamo mossi come collettività, abbiamo remato tutti nella stessa direzione. I nostri concorrenti erano Como e Trieste, e sinceramente pensavo che avrebbe vinto Como, anche per le maggiori entrature che i comaschi storicamente hanno in Francia (il quartier generale dell’Unesco è a Parigi). Invece sono stati premiati il nostro impegno e le nostre grandi eccellenze, da Cerruti al maestro Pistoletto, dalla birra Menabrea all’acqua Lauretana , a tante altre realta’. Questa grande vittoria ci serva di lezione per il futuro: uniti si vince. 

Il Lanificio Cerruti è un simbolo dello stile e dell’eleganza Made in Italy, e produce tessuti per i grandi brand della moda. Che cos’è oggi il lusso? Che cosa significa “eleganza” e come si evoluto il concetto negli ultimi decenni?

Rispondere a questa domanda non è semplice perché il concetto di “lusso” può avere significati molto diversi. Oggi, per esempio, per chi è molto impegnato nel lavoro è un “lusso” anche avere del tempo libero da dedicare ai propri cari, e sicuramente – per molti – è un “lusso” avere uno smartphone di un certo livello, più che indossare degli abiti eleganti. Posto che resta sempre vero che l’eleganza non è legata soltanto a ciò che si indossa ma anche e soprattutto al come lo si indossa, e che è lo stile complessivo della persona a definire la sua eleganza o ineleganza, detto questo è indubbio ed è evidente che oggi vestire male non è più percepito come qualcosa di negativo o di indecoroso. Molti imprenditori di altissimo livello, in America e non solo, si presentano pubblicamente in jeans, maglietta e felpa, al punto che paradossalmente – come mi diceva di recente un personaggio di primo piano del mondo della moda – possiamo quasi dire che oggi gli abiti vengono indossati solo da chi non ha potere. Non solo perché un abito è molto più accessibile di quanto non fosse una volta, ma anche e soprattutto perché le persone potenti e di successo preferiscono – sempre più spesso – vestire in modo sportivo, al limite della buon gusto.

È chiaro che di per sé questo fenomeno pone dei problemi seri a chi – come il Lanificio Cerruti – ha fatto la storia dell’eleganza maschile nel mondo. Vorrei però far notare due cose. La prima è che perfino Mark Zuckerberg, simbolo per eccellenza del casual  nell’abbigliamento, quando si è presentato davanti al Congresso degli Stati Uniti, ha indossato un abito blu con cravatta. Questo ha un significato, e vuol dire che – al di là di qualsiasi moda o tendenza al “ribasso” – il concetto di eleganza, e l’idea che in alcuni contesti si debba essere eleganti, è un punto fermo che concettualmente non può essere messo in discussione. In secondo luogo mi fa riflettere il fatto che ogni generazione, in termini di gusti e costumi, tende a cercare la propria identità facendo il contrario della generazione precedente. A una generazione in maglietta e felpa – che si veste così anche per ribellione nei confronti dei “padri” – potrebbe seguire una generazione che riscopre gli abiti e le camicie. Alcuni segnali in questa direzione si stanno già intravedendo. Stiamo vendendo molto bene, per esempio, le  giacche, e sono convinto che l’epoca dell’abbigliamento “trasandato” sia già vicina al tramonto, e rappresenti la fase decadente e conclusiva di un’epoca, non l’inizio di un’epoca nuova. Siamo vicini, probabilmente, a quella che rappresenterà la terza grande rivoluzione dell’abbigliamento di epoca contemporanea, dopo la prima rivoluzione ai tempi di Napoleone e delle uniformi dell’esercito napoleonico, e dopo la seconda rivoluzione degli anni Sessanta del Novecento (nuove tipologie e nuovi modelli di gonne, di pantaloni e di giacche, e nuove modalità negli abbinamenti e nei mix tra gli indumenti). Oggi la moda si sposta sempre piu’ verso criteri di comfort, di sostenibilita’, di ricerca e unicita’ dell’offerta con collezioni capsule. Mi auguro  che  non si perda il concetto di eleganza, anche se in forme non puramente classiche. Sicuramente sarà necessario affrontare la sfida con la massima creatività. 

Con il marchio “Il Lanificio” operate anche sul fronte dell’abbigliamento, vendendo direttamente al pubblico con una rete di punti vendita monomarca. Quanto è importante questa area di business, oggi e in prospettiva? Intendete ampliare la rete dei punti vendita in Italia e/o aprire dei punti vendita anche all’estero?

La parte retail sta andando molto bene, c’è una squadra che sta facendo un lavoro encomiabile, il business è in crescita e  nel 2019 i numeri sono stati superiori al previsto. Inoltre i negozi “Il Lanificio” ci permettono anche di cogliere al meglio i trend del mercato e l’evoluzione dei gusti e dei comportamenti, fornendoci indicazioni utilissime in fase di produzione. Oggi il concetto di Shopping Experience è fondamentale, e stiamo assistendo a una vera e propria rivincita delle boutique e dei negozi sui grandi magazzini. Al momento abbiamo sette punti vendita, sei in Italia (Biella, Barberino di Mugello, Noventa, Serravalle Scrivia, Settimo Torinese, Vicolungo) e uno in Svizzera (a Mendrisio). Stiamo già lavorando per ampliare questa rete con l’apertura di nuovi store, e c’è grande interesse da parte di alcuni possibili partner per aperture a marchio “Il Lanificio” in diverse importanti aree a livello mondiale. Siamo però ancora in fase di studio e non posso rivelare nomi di nessun genere. Posso invece dire – e questo è un altro obiettivo importante – che abbiamo l’intenzione di proporci a breve sul mercato anche con una piattaforma e-commerce, puntando dunque anche sull’online come ulteriore canale di vendita. 

Un’ultima domanda, che rivolgiamo a tutti gli imprenditori e manager tessili intervistati, in tutto il mondo: quali sono i pregi e quali sono i difetti del mondo tessile attuale? Quali sono – rispetto al passato – i problemi inediti e quali sono invece le nuove opportunità?

Il mondo tessile oggi è in continua evoluzione e trasformazione, è attraversato da grandi fermenti di creatività e di innovazione, e quindi – questo è il pregio – è una realtà sicuramente stimolante per chi non teme le sfide.

Ci sono però diversi problemi che – visti dal punto di vista dell’Italia e dell’Europa – sintetizzerei in questi termini:

1. PREZZI

Una cosa che proprio non  condivido è che nei momenti di difficoltà si facciano delle battaglie del prezzo a oltranza, con una corsa al ribasso che in ultima istanza fa male a tutti. A monte di questo fenomeno c’è un problema di cui ho già parlato in precedenza a proposito del distretto biellese: l’incapacità (in Europa, negli Stati Uniti non è così!) di fare quadrato e di fare squadra, la mancanza di coesione e di spirito di gruppo, la tendenza a giocare soltanto sulle individualità e a muoversi da singoli.

2. CRISI E CONCORRENZA

Le crisi del tessile ci sono sempre state e sono sempre state cicliche, ma i tempi della ciclicità si restringono sempre di più, e la concorrenza – da parte di persone a cui abbiamo insegnato noi il mestiere – è spietata. Abbiamo svenduto il nostro know-how e ora ne paghiamo le conseguenze. Parlo – lo ripeto – dal punto di vista dell’Italia e dell’Europa; la situazione vista da altre latitudini è ovviamente interpretabile in maniera diametralmente opposta.

3. ARTIGIANALITA’ FORMAZIONE

L’Italia – qui parlo soprattutto dell’Italia – ha un grande punto di forza: le capacità artigianali radicate nella tradizione tessile. Se riusciamo a mantenere vive queste capacità possiamo sopravvivere e tornare a crescere; se invece puntiamo su dei prodotti “normali” troveremo sempre qualcuno in grado di venderli a un centesimo in meno. Il know-how per realizzare prodotti “normali” – lo ripeto – ormai l’abbiamo svenduto da tempo, e lo si trova dappertutto. Oggi dobbiamo fare di più, dobbiamo puntare sull’eccellenza, su quelle grandi capacità artigianali che altri non hanno. Ma per fare questo bisogna puntare tutto sulla formazione, che è un investimento imprescindibile, perché le capacità che hanno reso grande il tessile italiano nel mondo – se non le insegniamo alle nuove generazioni – tra qualche anno andranno perdute. Dobbiamo formare i giovani per il settore tessile, nelle aziende ma anche e innanzitutto nelle scuole, a cominciare da Biella. Dobbiamo formarli sia dal punto di vista artigianale sia per quanto riguarda l’aspetto manageriale. Io sono un grandissimo fautore della formazione, e credo molto nei giovani. Al Lanificio Cerruti sto cercando nuovi ragazzi da assumere, e sto facendo molta promozione interna, spostando in ruoli importanti i giovani più meritevoli. Saranno questi ragazzi i futuri manager di Cerruti.

4. SOSTENIBILITA’

Oggi tutti parlano di sostenibilità, che è probabilmente il nome più abusato e più torturato del mondo tessile. Di recente un personaggio di spicco molto importante del nostro mondo mi ha detto che quando un’azienda tessile è in crisi o non ha caratteristiche forti di prodotto e di brand su cui puntare, tira in ballo la “sostenibilità” per darsi un tono e per avere maggiore visibilità. Non è sempre così, naturalmente, in alcuni casi c’è anche della sostanza, ma troppo spesso c’è soltanto forma, marketing, moda, comunicazione. Questo non significa – sia chiaro – che non ci dobbiamo impegnare per rendere più ecologiche le produzioni tessili. Quello che intendo dire è che la sostenibilità – portata avanti concretamente, sul territorio – dovrebbe essere semplicemente un dovere, non un fenomeno mediatico o una moda passeggera. Il Lanificio Cerruti ha investito molto su questo fronte, per esempio dal punto di vista del trattamento biologico e del risparmio delle acque, sul piano dell’abbattimento delle polveri o nella messa al bando di coloranti dannosi, ma non ci dovrebbe essere nulla di straordinario in questo, dovrebbe essere la norma. Noi stessi, a onor del vero, abbiamo sul nostro sito istituzionale una sezione dedicata al tema della sostenibilità e al nostro impegno in questo ambito. Oggi si fa così, nessuno escluso, e ci adeguiamo anche noi ai canoni di comunicazione del settore tessile odierno. Penso però, come ho detto, che la sostenibilità debba diventare sempre di più un dovere e un impegno concreto e sempre di meno un fenomeno di marketing, e che le autorità e gli enti preposti debbano prendere in mano la situazione (dal punto di vista delle regole e dei controlli) per evitare che tutto questo parlare in termini ecologici si trasformi alla fine in una gigantesca presa in giro.



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